“Non si è mai scritto così tanto di vino come negli ultimi anni, non c’era questa attenzione”.
Così ha esordito il direttore di Cronache di Gusto Fabrizio Carrera al talk organizzato al Wine2Wine dal titolo “Giornalismo del vino. Esiste? Che cos’è? Come funziona? A cosa serve”? Insieme a lui sul palco, giornalisti d’eccezione: Alessandro Regoli direttore di Wine news, Luciano Ferraro del Corriere della Sera, Alessandro Torcoli di Civiltà del Bere, Alessandro Morichetti di Intravino, Marco Tonelli di Spirito Divino e Fabio Piccoli di Wine Meridian. A moderare l’incontro Chiara Giannotti. Finalmente, sottolinea Carrera, “un certo giornalismo si è accorto del valore, anche economico, del vino e si sono creati i presupposti perché ci siano tanti divulgatori”. Ma “il fatto che siamo qui a chiederci se il giornalismo del vino esiste, vuol dire che c’è un problema”. Prosegue: “Credo che esista il giornalismo, declinato in un certo modo, su un certo argomento, ma il mestiere è sempre più difficile perchè ci si confronta non solo con altri strumenti, ma anche con altre figure come gli influencer, che sembrano fare il tuo stesso lavoro, anche se in realtà ne fanno un altro. I contenuti fanno la differenza: affidabilità, tempestività, terzietà, che non vuol dire non essere schierati, ma non essere faziosi, sono fondamentali. La critica resta un lavoro diverso, importante anche se oggi la critica forse ha preso il sopravvento sulle notizie giornalistiche. Io dico: meno punteggi e più cronaca, meno voti e più scenari ed analisi”. Gli fa eco Alessandro Regoli: “Certo, tre minuti sono davvero troppo pochi per raccontare come si immagina la comunicazione del vino del futuro. Mi ritengo una sorta di “prete di campagna del vino”, un settore che, non deve essere come è pieno di “enofighetti ed enofighette”. Sono un grande appassionato del vino, la bellezza del vino non sta dentro alla bottiglia, ma fuori: evviva i territori, i monumenti, e anche i linguaggi che non sono tecnici. Amo il linguaggio comune, con il quale si possono dire tante cose, dobbiamo uscire dal nostro mondo, evangelizzare, seminare interesse, trovare seguaci”.
C’è chi va controcorrente e rimane ancorato al “classico”: “Siamo in un nuovo “Far West”, si deve comunicare ad un sacco di gente, attraverso più canali. Noi siamo classici, quasi feudali, non abbiamo un sito, rimaniamo fedeli totalmente alla carta – dice Marco Tonelli del mensile “Spirito di Vino” – È faticoso, non lo nego, per fare lavoro di qualità servono strumenti da vecchia editoria, un grafico, foto diverse e la consapevolezza di essere in una nicchia. Si va sulla comunicazione pura, cavalcando una nicchia che è quella del racconto, senza troppi tecnicismi, che fanno parte di una cultura più anglosassone. Noi veniamo da Veronelli, da Soldati, che privilegiavano il racconto, l’atmosfera, il racconto non del vino, ma di un ambiente, di una storia, di qualcosa non focalizzato esclusivamente sul vino. Serve coscienza di essere nicchia, parlando a chi ci legge, con un italiano corretto, non banale, senza rinunciare a termini italiani a favore di quelli inglesi, cercare di fare una comunicazione che può essere anche considerata vecchia, ma non lo è per forza. C’è, però, un problema di fondo sulla categoria dei giornalisti del vino: prima spesso iniziava ad occuparsene uno che aveva una formazione giornalistica, ma non legata al vino in senso stretto. Questo non vuol dire che chi lo fa oggi non sia preparato, ma diciamo che si partiva da un giornalista tout court e poi veniva al mondo enogastronomico, e non il contrario”. “Noi forse siamo tra i primi tra i grandi giornali a dedicare una pagina fissa, a settimana, al vino ed al cibo – dice Luciano Ferraro – Poi nel 2013 abbiamo fatto una guida, poi eventi, Festival del Trentodoc, di recente, e aperto la redazione di “Cook”, che fa contenuti digitali ed un mensile, soprattutto di cucina ma anche di vino. È una fase di trasformazione dal dominio del cartaceo, che, per il vino, era fatto di guide e riviste specializzate, a un mondo più digitale. Non esistono canali frivoli: è il contenuto che conta, non il canale, poi va declinato con i linguaggi di quel mezzo”.
La questione è che il mondo del vino è “prodottocentrica”, dice Fabio Piccoli, a capo della testata giornalistica on line “Wine Meridian”: “È vero che il bello è raccontare quello che c’è fuori dalla bottiglia, ma i produttori chiedono sempre “parla del mio vino”. E poi, così come nel mondo della produzione, che non riesce a fare squadra, così è nel mondo del giornalismo. Si parlava già anni fa della necessità di creare una sorta di “Wine Spectator” italiano, non non ci siamo mai riusciti. L’individualismo dei produttori è lo stesso dei giornalisti, non si riesce a fare squadra, servono investimenti. Stiamo indagando su quanto spendono le aziende in comunicazione, ancora la ricerca non è finita, ma emerge che, comunque, non è abbastanza per sostenere un sistema dell’editoria del vino forte, spesso tutto è spalmato a pioggia, anche senza meritocrazia”. Il giornalismo del vino non esiste, dice senza mezzi termini Alessandro Morichetti, tra i fondatori del blog “Intravino”: “Io non vivo scrivendo, faccio il commerciale, vendo vino. Poi, per passione, insieme ad altri, portiamo avanti un blog, che è la sintesi del problema strutturale del settore. Il giornalismo del vino non esiste. Perchè il mondo del vino sta in piedi con i soldi dei produttori, sono gli unici che tengono in piedi le cose, tranne rarissimi casi non c’è nessuno che sta in piedi con i soldi dei lettori. Un mondo che sta in piedi con le risorse dell’oggetto di cui si parla non può essere giornalismo indipendente. Scendere a dialogare con le aziende vuol dire fare compromessi che non siamo disposti ad accettare. Ma è difficile trovare contenuti giornalistici, il 90% sono punteggi, ci sono premi su premi, e i premi piacciono a tutti, ma tutti premiati è come nessun premiato. Sui punteggi, poi, dai centesimi siamo passati ai 110, e via dicendo. È eccessivo. E poi dobbiamo dire meno cavolate, come quelle che ho letto, a milioni, sul tema alcol e salute. Il vino ci piace perchè è buono, perchè è storia, perchè è cultura, ma contiene anche dell’alcol, che è tossico, e se qualcuno parte a fare la crociata sul fatto che il vino fa bene alla salute, ha perso in partenza”. (Fonte winenews.it)
C.d.G.