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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/19. Agosta: “Salviamo il terroir senza cedere alla paura”

16 Gennaio 2020
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(Valeria Agosta)

di Francesca Landolina

“Si parla tanto del rischio di errori da commettere o meno, in questo preciso momento storico per l’Etna del vino, ma noi, come molti altri, siamo giovani produttori, e gli errori sono sempre dietro l’angolo. Facciamo esperienza ogni giorno. Ma il solo vero errore da evitare è quello di sminuire il valore dell’Etna, un territorio del vino unico, con un grande potenziale, ancora giovane”. 

A dare il suo parere sul futuro dell’Etna è Valeria Agosta della cantina Palmento Costanzo, a Passopisciaro, frazione di Castiglione di Sicilia, sul versante Nord dell’Etna. Con lei, continuano le nostre interviste per conoscere il punto di vista di alcuni produttori. “A voler essere polemici, si può dire di tutto, parlare di prezzi troppo bassi che sfuggono ai controlli, di zone Doc da allargare, non si sa come né fin dove, ma la sola cosa giusta è andare avanti facendo delle scelte che rispettino il territorio, la sua identità, i suoi vitigni”. Riassume così il suo pensiero la produttrice. Riguardo ai prezzi: “Adesso si sta più attenti al target Etna, i controlli ci sono, anche per il rispetto del disciplinare, e sono più consolidati dall’Erga Omnes. Accade, purtroppo, che ci siano singoli casi ‘fuori dal coro’. Trovare un Etna Rosso allo scaffale a prezzi troppo bassi è spiacevole. Mi chiedo come facciano a far uscire vini a meno di 4 euro. Qui i costi di produzione se fai qualità sono altissimi. Se sei in biologico, se coltivi ad alberello etneo, come fai a giustificare un simile prezzo? Già solo col packaging non ce la fai”.

E si ragiona sull’ipotesi si ampliare o meno la Doc. “Non è facile questa scelta, ma ciò che conta è che dietro ci siano il rispetto e il mantenimento di qualità. Non mi sento in grado di poter dire cosa sia giusto fare. Noi siamo dentro la zona della Doc, abbiamo acquistato, nel tempo, piccole porzioni di vigna, pian piano. Non sono per l’allargamento, a meno che non si mettano limiti e si rispettino quelle piccole zone per cui ha senso parlare di Doc”. E la Docg? “C’è chi non la vuole per non trovarsi a dover adempiere ad una nuova serie di aspetti burocratici. Per me è garanzia di qualità o meglio dona quel quid in più che dà valore all’Etna”. Ciò che per la produttrice conta più di altro è l’importanza di non snaturare l’Etna del vino. Nessuna avversità per i nuovi impianti, purché siano destinati ai vitigni autoctoni etnei. “L’Etna è un territorio che può permettersi varietà uniche, identitarie – afferma -. L’Etna è quei vitigni: Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante”.

Ed infine parliamo di promozione e del tanto discusso evento Contrade dell’Etna, che per l’edizione 2020 sarà già gestito da una società di servizi privata. “Per me, così come è nato, l’evento è bellissimo e va rispettato. Sarebbe bene non disperdere la naturalità dell’evento, senza deviazioni troppo commerciali. Lo auspico e, ad ogni modo, parteciperò sempre, perché tutto ciò che è sul territorio richiede partecipazione e presenza. Sono un po’ rammaricata, perché avrei lasciato la gestione nelle mani del Consorzio e spero che quest’ultimo possa agganciarsi all’evento e prenderlo per mano”. E pensare ad un evento istituzionale, ex novo, del Consorzio stesso? “Perché no? Sono favorevole ad un evento istituzionale, se trova le caratteristiche che lo rendano appetibile e che gli diano un respiro internazionale”.

Concludiamo sulle sensazioni riguardo al futuro. “Tanti ne parlano con paura, con la paura di uno svilimento ma secondo me dobbiamo riuscire a mantenere quello l’Etna è ora. Sarà difficile, certo, perché ci sono paura, sfiducia, diffidenza. C’è paura della colonizzazione, dei vigneti smisuratamente grandi che possano snaturare l’identità territoriale e la tradizione vitivinicola etnea. L’Etna deve avere sempre quel ‘sapore’ di autoctono, deve rimanere una nicchia di qualità. Se vogliamo vedere per forza nel colonizzatore un aspetto negativo, possiamo anche restare impantanati nella paura, ma se pensiamo in chiave positiva, l’altro può essere anche di grande supporto per l’internazionalizzazione dell’Etna. Resto ottimista. Perché pensare al peggio?”. “Nel futuro, dobbiamo essere più aperti anche all’ospitalità enoturistica. Molte aziende sono chiuse durante i fini settimana e questo non aiuta”, conclude.

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