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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/18. de Grazia: “Troppa improvvisazione, identità a rischio”

03 Gennaio 2020
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(Marco de Grazia)

di Francesca Landolina

“Grande è la confusione sotto il cielo dell’Etna”. Cita Mao in una battuta per descrivere l’Etna del vino Marco de Grazia, patron della cantina Tenuta delle Terre Nere, sul versante nord.

Di de Grazia conosciamo bene il suo carattere toscano con pregi e difetti, ma anche la sua straordinaria capacità di fare vini buoni. Uno dei primi a tracciare il rinascimento dell’Etna ma anche, per esempio, il primo ad indicare le contrade in etichetta, il primo a capire la straordinaria eterogeneità di un territorio che resta unico al mondo. Anche lui è uno dei produttori intervistati in questa lunga sequenza di articoli dedicati all’Etna per comprenderne orizzonti e criticità. 

Come sta il vino dell’Etna? Prospettive, soddisfazioni o preoccupazioni?
“Penso sempre che non ha senso per me star bene se stanno male gli altri. Ed è un mio punto di vista politico. Vedo più problematico questo momento per la grande confusione che è nata sull’Etna e come il mondo ci sta guardando. Ci sono mille livelli di Etna. Prima c’era una linea qualitativa più omogenea, comprensibile. Ora all’estero cominciano a chiedersi cosa sta succedendo. Escono fuori vini che non rappresentano il territorio, che non si capisce cosa siano. E non lo capiscono neanche alcuni produttori, presi da entusiasmo positivo, ma da competenza insufficiente. Molti non hanno neanche una cantina e se non hai una cantina è difficile avere una qualità stabile. Molti poi ereditano piccole vigne, da nonni e zii, e si tuffano. Entusiasmo ammirevole e giusto orgoglio, certamente, ma che portano al ritrovarsi in problematiche non messe in conto. Problematiche che ricadono sul mercato”.

Quali conseguenze crea questa situazione?
“Quello che più mi preoccupa è la confusione nei mercati del resto d’Italia e all’estero, ma anche su quello interno, delle uve e dei vini. Si arriverà ben presto al punto in cui ci sarà gente che vorrà vendere ciò che non è riuscita a vendere. Ci saranno tre o quattro anni di turbolenze e forse avremo alla fine un ritrovato equilibrio che sarà un toccasana per tutti. Non credo inoltre che ci sarà una discesa dei prezzi delle uve. Una ventina di aziende, o trenta al massimo, si consolideranno e avranno una posizione commerciale rafforzata nel mondo; ci sarà bisogno di uva per queste aziende e i prezzi saranno più stabili. Ma si perderanno tante piccole realtà mentre le aziende con le spalle grosse e orientate alla qualità ce la faranno. Attenti, ci sono anche aziende e persone che si preoccupano oggi di cose sbagliate. Rimettiamo in piedi l’Erga Omnes, non pensiamo alla Docg, che non serve a nulla e che creerebbe costi e problemi che i piccoli non sono pronti a sopportare e neanche a comprendere. Attualmente l’Erga Omnes non è stata capita. I passaggi sono stati giusti, ma frettolosi e non sono stati supportati da un’adeguata informazione. Penso che il Consorzio di ora sia il migliore che abbiamo avuto. Pero serve maggiore informazione, quasi un percorso didattico per spiegare bene cosa può accadere nel territorio e con le dinamiche del consorzio. Lo faranno? Si vedrà”.

In futuro si continuerà a parlare di Etna come adesso?
“Non credo che non si continuerà a parlare di Etna. La cosiddetta bolla c’è perché molti, animati da buona volontà, non si rendono conto delle reali difficoltà. All’estero già si avverte una sensazione di confusione. Ripeto il concetto. Ci sono vini di qualità elevata, chiara e limpida ma anche tantissimi esempi di Etna che confondono. Non c’è identità o meglio quest’ultima si sta confondendo. Viaggio molto e questo è già percepibile all’estero. Per quanto possa fare, il Consorzio non ha la bacchetta magica. Se c’è chi vuole far vino senza un’idea ben precisa, ben presto si troverà nei guai. Il precedente cda del Consorzio lo vedevo con le idee meno chiare. Solo ora il nuovo cda sta prendendo atto di tante situazioni e della stessa complessità della realtà produttiva etnea. Tuttavia ci sono conflitti che si stanno, poco alla volta, risanando. Penso alle battaglie dei produttori con il Parco dell’Etna che non ti lascia toccare una ginestra dove c’era una vigna. Ma si sta cominciando a lavorare insieme, Consorzio, Parco dell’Etna, Strada del Vino…un buon segno”.

Nuovi impianti. Servono limiti?
“No. Ma il mio non è un interesse personale, è un no che traggo dalla storia. Oggi arriviamo appena al 2 per cento di quello che si produceva prima della fillossera. Non è la quantità che inficia, ma la cattiva qualità. La buona quantità porterebbe avanti il nome dell’Etna. Siamo ancora ad un livello di piccola produzione, ma se già quest’ultima è poco affidabile e invenduta, potrebbe spingere a vendere sottocosto. I controlli sono sicuramente importanti. Ci sono due tipologie di problemi. L’azienda che vende a prezzi bassissimi o svende e l’azienda che produce dell’Etna qualitativamente mediocre venduto a prezzi mediocri, ma questi sono problemi presenti in tutte le Doc. I controlli servono per limitare la scorrettezza. Il fenomeno però andrà assottigliandosi, in principio dolorosamente: il mercato farà una selezione spietata. E con la calma di un mercato stabile, che ancora non lo è, si assesterà un mercato ideale dell’Etna che dovrà essere con dei prezzi che rispecchiano i costi reali di produzione e di qualità”.

Ampliamento Doc, de Grazia è favorevole?
“No”.

Cosa pensa del fatto che parte dell’Isola del vino soffre un po’ la supremazia etnea ormai acclarata dalla critica internazionale?
“Ma se un’azienda è intelligente, capisce che l'Etna aiuta a portare avanti la Sicilia; l’associazione Etna-Sicilia è inevitabile. Se è intelligente sfrutta la scia”.

E dell’evento Contrade dell’Etna, passato ad una nuova gestione?
“Contrade come evento privato non aveva già più senso da tanto tempo. Era diventata complessa la gestione, con centinaia di espositori. Non per colpa di qualcuno. Personalmente, non parteciperò ad un Contrade dell’Etna privato”.

E di un evento istituzionale?
“Penso sia importante avere una manifestazione di questo tipo, ma gestita dal Consorzio e in uno spazio idoneo. Può essere sull’Etna o a Catania, ma ben organizzata e che escluda qualsiasi forma che la avvicini alle usanze locali da sagra campagnola. Professionale, per i professionisti e per gli appassionati, veri”. 

E il futuro?
“Positivo ma complesso. Cito un film “La battaglia di Algeri”, di Gillo Pontecorvo, racconta la lotta d’indipendenza algerina contro l’occupazione francese. C’è un momento in cui due capi del gruppo rivoluzionari si incontrano di notte e si scambiano alcune frasi. “Cominciare una rivoluzione è difficile, anche più difficile è continuarla; e difficilissimo vincerla, ma le vere difficoltà cominciano dopo”. Questa etnea è la fase in cui, finita la rivoluzione, cominciano gli assestamenti. Tutti si buttano sul carro e bisogna mettere delle regole. Rimango fiducioso. Dimentichiamo a volte che nel nostro vecchio mondo oltre la fillossera ci sono state due guerre mondiali. E di conseguenza, in Sicilia in particolare, l’abbandono delle terre dovuto ad una immigrazione di massa é stato drammatico. Oggi rinascono le zone viticole che valgono davvero. Il valore rimane sempre, come brace che continua ad ardere sotto la cenere. Ci vogliono pazienza e forza per scoprirlo e per dargli solidità e valore economico”.

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