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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/16. Federico Curtaz: “Basta accostarci alla Borgogna, è puerile”

10 Settembre 2019
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(Federico Curtaz)

di Francesca Landolina

“Direi che, se parliamo in forma allegorica, l’Etna vive la fase 4.0”. 

La dichiarazione è di Federico Curtaz, un nome molto noto tra gli addetti ai lavori sull’Etna, agronomo di origini valdostane, che di recente ha deciso di scommettere da solo sul Vulcano, dopo essere stato uno dei proprietari della cantina Tenuta di Fessina. “Dagli anni ’80 – ‘90, dopo i padri fondatori, da Barone di Villagrande a Benanti, dopo le generazioni di Russo, de Grazia, Franchetti, Cornelissen che hanno consolidato la strada, siamo davanti ad una prospettiva che apre una fase di nuova consapevolezza. Fino a non pochi anni fa, lavoravamo su vini difficili da capire; ci si chiedeva se avessero retto nel tempo, ma oggi sappiamo che hanno dimostrato grande stoffa, tenuta nel tempo, sfida di eleganza, seppur ci sia ancora tanto da definire. La fase Etna 4.0 è quella dei grandi produttori uniti ai piccoli che si affacciano sul territorio. I grandi, quelli con un marchio consolidato, meritano rispetto, tengono su un sistema e, per il futuro, bisognerà attendere per vedere che partita giocheranno. Nei loro confronti, non c’è una preoccupazione, li considero una grande opportunità, perché sono un megafono enorme. Sui piccoli nuovi produttori, forse potrebbe esserci qualche piccola preoccupazione, ma in senso buono. Tra loro, ci possono essere appassionati veri e altri che producono il vino per farlo e basta. Non è sufficiente però essere filosofi illuminati o avvocati avanguardisti per fare il vino. Ci vuole professionalità: le parole non spiegano un vino che non è riuscito e soprattutto non lo giustificano. Detto ciò, bisogna aspettare che passi del tempo, sarà il mercato poi a premiare o a bocciare”.

“In termini di popolarità l’Etna vive un momento unico, ciò che accade è impressionate – spiega il produttore – Ma ora occorre che maturi e si porti a compimento il tempo della consapevolezza per dar vita a gesti volti alla qualità assoluta e al rispetto ambientale. Siamo nel tempo in cui bisogna guardarsi dentro, in modo introspettivo. Al momento i vini vanno nella direzione della qualità. Ma è chiaro che non ci sarà mai un’omogeneità assoluta nella proposta. Ci sarà sempre qualche dilettante”. Cosa andrebbe evitato in questo momento storico? “Non bisogna farsi compromettere dall’idea di impiantare altre varietà che non siano quelle autoctone, perché abbiamo un’identità formidabile. E dobbiamo restare incardinati sulla materia di origine. E poi eviterei quel puerile accostamento alla Borgogna. Con questi richiami rischiamo di banalizzare un territorio come quello etneo, con un’identità molto ben definita, che non va svilita”. 

Curtaz sembra avere chiaro l’obiettivo, unico, della qualità. Ma non solo, la sua posizione è ben delineata anche quando si parla di una probabile estensione della zona della Doc. “Per estenderla ci devono essere delle valide ragioni geologiche, ambientali, storiche. Non sono contrario, ma ho qualche preoccupazione. Lascerei la zona Doc così com’è”. Si dice invece abbastanza “liberalista” per quel che riguarda il crescere dei nuovi impianti dentro la Doc. “I nuovi diritti di impianti servono se il mercato ha un forte bisogno, purché la tradizione sia rispettata. Mi piacerebbe che ogni nuovo terreno si progettasse sulla qualità, perché se la sua vocazione è adatta a fare grande uva, non c’è né si sarà alcuna paura”. A fare da argine contro un abbassamento eventuale dei prezzi è la stessa competenza qualitativa: “Quando c’è competenza, i prodotti non buoni diminuiscono, perché si costruisce valore. Se dovessi scrivere un cartello a Fiumefreddo o a Misterbianco scriverei “obbligati alla qualità”. Diverso il discorso se di parla di Docg: “Mi sembra che la Doc sia più che sufficiente”, afferma. 

Parliamo di promozione: come farla? “Per promuovere bene convocherei prima tutti i sindaci dei comuni etnei e direi loro di far pulire le strade, poi penserei all’evento. Ringrazierei moltissimo Andrea Franchetti per quello che ha fatto, perché è stato un visionario. E lascerei Contrade dell’Etna in eredità”. Assolutamente in disaccordo su un nuovo evento che conviva con Contrade. “Creare un’alternativa? Assolutamente no – afferma – Bisogna unire le forze e le energie, non disperderle. Se il Consorzio da una parte e Franchetti dall’altra avranno umiltà sufficiente per dialogare e trovare un punto di accordo, offrirei loro la cena, farei da mediatore. Non voglio dare poi consigli su cose che non so fare, ma l’Etna deve essere monolitica nell’offerta promozionale. Facciamo due o tre eventi tra i comuni, al massimo. E poi si faccia un unico evento istituzionale, che si chiami Contrade dell’Etna. Quale altro nome? Non c’è niente di più bello. L’evento si potrà senz’altro migliorare, dando a tutti la possibilità di partecipare, grandi e piccoli. E inserendovi una serie di momenti di didattica e di formazione. Un evento che sia principalmente sul territorio, ma anche itinerante, in Italia e anche all’estero”. 

Si dice positivo sul futuro del vulcano. “Sono entrate persone di grande qualità, oltre ai padri fondatori, affiancati da un tessuto continuo di aziende; oggi la trama etnea è ancora più fitta. Se tutte queste persone non scenderanno a compromessi con la qualità, il futuro sarà bellissimo. Oggi la qualità è medio-alta con punte di eccellenza e la media si sta alzando. L’importante è che non ci sia un protagonismo eccessivo delle persone; quando i personaggi diventano più importanti del vino e del territorio, diventa più lunga la strada da percorrere”.  

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