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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/14. Calabretta: “Troppe bottiglie? No, resteremo una nicchia”

01 Settembre 2019
Massimiliano_Calabretta Massimiliano_Calabretta


(Massimiliano Calabretta – ph Massimiliano Montes)

di Francesca Landolina

“Dietro ad ogni bottiglia di vino, deve esserci una visione, un progetto. E per questo il valore più importante è uno soltanto: si chiama tempo. Occorre essere disposti ad accettare che passino 10 o 15 anni prima di iniziare a produrre sull’Etna”. 

Questo è il pensiero del produttore Massimiliano Calabretta, uno dei nomi storici e antesignani della viticoltura etnea e dei suoi successi. Lo intervistiamo, per ascoltare il suo punto di vista sul futuro del Vulcano. “Da una parte c’è il successo di oggi – afferma il produttore – e la positività di una nuova scoperta dei vigneti, che ha portato ad un reimpianto di tutta la zona, tanto da riportarla quasi nel lontano ‘900 quando l’Etna era una grande terra vitata, poi abbandonata. Dall’altra bisogna continuare con attenzione perché le strade possibili sono due: diventare come il Barolo o assestarsi a prezzi più bassi. Non penso al rischio di ripetere la storia del Nero d’Avola, ma il trend di crescita potrebbe assestarsi”. Cosa potrebbe determinare la seconda delle due “strade” percorribili? “Dipende tutto da ciò che si vuole fare – spiega – dalla visione che si ha e dal tempo. Un errore da evitare, ma che è solo nella testa di pochi, è che l’Etna sia un Eldorado, facile da ottenere senza tanto lavoro. Non è così. Bisogna impegnarsi a fare vini migliori e a venderli ad un prezzo corretto”.  

Per quanto riguarda il prezzo per il produttore non ci sono paletti da stabilire. Tutto dipende dal lavoro che c’è dietro al singolo vino. “Si può andare dai 15 euro per un vino base fino ai 35 euro o più se si tratta di un particolare cru per esempio, ma il valore del singolo vino è dato da tanti fattori: dal vigneto, dalla resa produttiva per pianta, dal lavoro che fai in cantina. Ognuno fa i vini che vuole ed è libero di farli uscire anche subito o dopo 10 anni. Il prezzo dipenderà sempre dal lavoro che ci sta dietro, dai costi per produrlo. Non è che se prendi una qualsiasi vigna, solo perché si chiama Etna, puoi vendere il vino a qualsiasi prezzo. Sul mercato mondiale dobbiamo competere con vini di qualità. E il prezzo giusto è quello che corrisponde alla qualità”. 

Quando un prezzo non viene percepito corretto? “Ci sono aziende che hanno un progetto alla base, una visione del tempo e dunque prezzi corretti. La lamentela che sento maggiormente quando giro tra ristoratori, importatori, distributori ed enotecari è che ci sia troppa convinzione ultimamente. Loro cercano vini buoni e a prezzi corretti”. I nuovi impianti ed una nuova crescita produttiva non creerebbero secondo il produttore alcun timore. “Vero è che negli ultimi 4 – 5 anni sono stati impiantati circa 400 ettari, ma se ci confrontiamo al Barolo, restiamo una piccola nicchia. I nostri numeri sono e saranno pur sempre limitati. L’Etna ha ancora pochissime bottiglie prodotte. E sul vulcano l’eccellenza riesce a raggiungere livelli davvero elevati. Non ci sarà secondo me un abbassamento dei prezzi, perché i nuovi impianti sono compensati dal fatto che l’Etna produce ancora poco”. 

E l’invenduto, che ad oggi sembra essere un fattore da non sottovalutare? “Il problema dell’invenduto è vasto, per radicarsi nel mercato e vendere ci vuole del tempo. Anche gli importatori hanno le loro paure. Servono investimenti in promozione e tempo. Nel tempo, con un progetto, impari non solo a saper attendere ma anche a farti conoscere. Non penso che alcuni marchi noti dell’Etna abbiamo dell’invenduto. Chiaro è che un’azienda giovane necessita di tempo e di promozione e il tempo nel vino si misura in anni. Ci sono molti e importanti investimenti sul vulcano oggi. Sarà il mercato a premiare chi ha lavorato seriamente, chi lo ha fatto con un progetto serio, chi ha creduto nel valore del tempo. E tutto questo non può accadere in 15 mesi”. 

In tema di promozione, Calabretta, è sintetico. “Vivo molto fuori dall’isola e per questo non partecipo spesso a manifestazioni. Forse ce ne sono tante e bisognerebbe razionalizzarle. Un evento istituzionale potrebbe essere positivo – afferma – ma è un tema in cui è più preparato il Consorzio, che credo stia già lavorando anche alle mappe e ad altri strumenti per la comunicazione. Non saprei cosa dire su un evento, non sarei molto preparato, chiedetemi come si fa il vino”, afferma sorridendo. E come fare allora del vino buono? Una domanda quest’ultima che sta un po’ stretta a Calabretta, perché la risposta richiede tanto tempo e preferibilmente una lunga chiacchierata davanti ad un calice di vino, magari nelle sue vigne a Randazzo, sul versante Nord del Vulcano, dove produce dal 1997. “Non è facile rispondere in sintesi, ma bisogna cominciare dall’avere vigne buone, vocate e curate, occorre uno studio sulla singola uva e il saper interpretare umanamente il vino. Sull’Etna ci sono tanti vini buoni, di profili diversi. La qualità è medio-alta, soprattutto in confronto ad altre zone d’Italia”.  Per chiudere, si dice ottimista sul futuro: “Sono contento dei risultati, più lavoriamo bene, in tanti, più valorizziamo l’Etna”. 

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