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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/13. Gina Russo: “Serve più unità e il vulcano non è l’Eldorado”

23 Agosto 2019
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(Gina Russo)

di Francesca Landolina

“Non si venga sull’Etna per arricchirsi, ma per costruire. Temo solo la bramosia degli affari”, sono le parole dirette e appassionate della produttrice Gina Russo, proprietaria della storica azienda di famiglia, Cantine Russo, a Castiglione di Sicilia, sul versante nord del vulcano, ma anche presidente della Strade dei Sapori e del Vino dell’Etna. 

Con lei continuiamo il nostro dibattito e le interviste sul futuro del Vulcano, dando voce a chi quel territorio lo vive da protagonista. Il successo dell’Etna è sotto gli occhi del mondo ormai da qualche anno e lo dimostrano i numeri (sono più di 120 le cantine), oltre all’attenzione della stampa nazionale e internazionale, ma quale strada si sta percorrendo? “Siamo un’azienda storica con quasi 65 anni d’età – racconta Gina Russo –  E posso testimoniare trent’anni di evoluzione, da quando eravamo 3-4 aziende ad oggi. Non un andamento graduale, ma tutto in brevissimo tempo. Forse troppo. La cosa positiva è che l’avvento di alcune cantine importanti, nel tempo, ha acceso il focus sull’Etna. Per esempio, basti ricordare il lavoro di Andrea Franchetti con la sua idea dell’evento Contrade dell’Etna. E quando fai conoscere un territorio inizia la curiosità, apri le porte e non resti chiuso nel tuo rione. Sono una fan della promozione e – prosegue la produttrice – favorevole ad ogni iniziativa del genere”. Ma quali gli errori da non commettere in questo preciso momento storico? “In questa corsa a fare vino dell’Etna – spiega – ciò che temo è il rischio che si immetta sul mercato, con facilità, un vino che forse non rappresenta al cento per cento il territorio nella sua eccellenza. Oggi, chiunque possiede un ettaro vinifica e immette sul mercato un vino di un anno e mezzo. Un vino etneo, al contrario, deve avere il tempo di maturare e di acquisire sensazioni al calice che non ha un vino comune”.

E aggiunge: “Il mio timore? Temo che si miri al business e alla fretta per motivi economici. Non dobbiamo perdere invece l’obiettivo vero, che è quello di dare vini diversi, eleganti, unici, il cui nemico è proprio il tempo. Siamo un piccolo territorio, chi arriva qui non deve pensare di arricchirsi, perché stiamo costruendo per le generazioni future. La ricerca del business non deve prevalere sull’identità del prodotto. La troppa varietà tra un vino e un altro non crea identità. Ci sono vini identitari e storici e altri irriconoscibili, che non esprimono l’Etna, né la sua complessità. Per intenderci, vini troppo fruttati o così come si dice “piacioni” non possono appartenerci. In essi non c’è riconoscibilità”. E parliamo proprio di vini e di costi. “I costi di produzione sono elevati e chiaramente questo vale pure per il vino che non può avere prezzi bassi. Oggi assistiamo purtroppo a divari enormi, c’è chi ha prezzi consoni alla qualità del prodotto e chi ha prezzi bassissimi. I divari danneggiano”. Se da una parte il tema dei prezzi fa riflettere, dall’altra si aggiunge l’ipotesi, del tutto prevedibile ormai, di una crescita produttiva per i prossimi anni, considerati i nuovi impianti dentro la zona della Doc e i nuovi diritti acquisiti per essi. “Mi preme fare una considerazione importante. Questo territorio è diventato grande anche grazie a persone che non lo hanno abbandonato quando non c’era nessun’onda da cavalcare. Quando non c’era percezione di ricchezza. Grazie a persone che hanno dovuto fare estremi sacrifici, talvolta ricorrendo anche a qualche prodotto da vitigni internazionali pur di resistere sul mercato. Parlo di chi ha dovuto faticare per resistere. Parlo di chi, come la mia famiglia ed altri, è rimasto, in tempi ‘magri’. Questo è amore per il territorio. Va ribadito. Le aziende di tradizione sanno cosa significa. Non ho nulla contro i nuovi arrivati, anzi, ma solo se si integrano in modo rispettoso”. I toni sono appassionati, in difesa di un territorio di appartenenza che o si ama o no. Senza mezzi toni, come a dire “l’Etna non è un forziere, né una terra da usare”. 

E riflettendo sulla produzione, in crescita seppur di nicchia, dato che c’è ancora dell’invenduto (e c’è), cosa accadrà ai prezzi? “Il rischio dei prezzi bassi c’è, il rischio delle svendite pure, ma non se si vigila e se chi produce lo fa in modo rispettoso senza cercare di arricchirsi. Ecco perché è importante aspettare anni prima di immettere un vino sul mercato, fare sacrifici che valgano la pena”, afferma. E per i nuovi diritti di impianti dentro la Doc? C’è un pizzico di amarezza nel suo pensiero: “Bisognava pensarci prima. Oggi accade che un’azienda locale che non può trasportare diritti da altre zone di Sicilia sia penalizzata. Allora assistiamo alla corsa di chi compra sciare, macina e fa vigne. Una contraddizione. Ci sono controsensi consentiti dalla legge, ma è assurdo. Per me l’ampliamento dei diritti dentro la Doc si può bloccare subito, ma chi viene penalizzato già è stato penalizzato. Ciò che è fatto è fatto. Ormai non si torna indietro. Un blocco momentaneo lo auspicherei, per monitorare il mercato, per capire cosa può assorbire, e per vigilare sulla forbice dei prezzi. Poi si vedrà”. E riguardo alla promozione, da Presidente della Strada del vino, Gina Russo non può che considerarla necessaria, purché parta dal territorio. “Contrade dell’Etna, per esempio, è un evento nato da un privato che negli anni è cresciuto. Ha dato i suoi frutti e va mantenuto, magari con qualche accorgimento, distinguendo i momenti per la stampa e per gli addetti al settore da quelli per il pubblico. Potrebbe essere positivo se passasse nelle mani del Consorzio, ma anche se restasse così com’è, affiancato da un evento istituzionale, che si svolga in un periodo diverso”. E aggiunge: “Su Contrade ritengo giusto pagare una quota, ne beneficiamo tutti. Forse la diminuirei un po’, anche per fare aderire tutti oppure la manterrei al costo di 450 euro, ma a fronte di migliori servizi”. 

Per il resto sulla promozione, dice: “Il consorzio e la Strada dovrebbero camminare insieme sulla promozione dei vini. Interagire con iniziative, come per Crossing Etna, per la quale mi piacerebbe una maggiore partecipazione. Poi bisogna puntare all’estero per promuovere il marchio Etna. E servono mappe delle contrade, che ogni azienda deve avere. Serve studio, ricerca tempo. Ma occorre attivarsi. Il problema è che molte contrade sono state tramandate oralmente, bisogna recuperarle e studiare per trovare i confini. Insieme alle amministrazioni comunali”. Il futuro? “Per me è positivo; noi della media e nuova generazione stiamo gettando le basi per un futuro importante. Non pensiamo ad arricchirci ma alla responsabilità che abbiamo verso le future generazioni. L’Etna è e sarà un territorio unico, basta non farsi prendere dalla bramosia degli affari. Questa non è la strada da percorrere. Serve unità. Se si è uniti il vantaggio è di tutti. Ed infine, ricordo che il territorio deve ritrovarsi dentro la bottiglia. Se ci riconosciamo tutti, seppur con stili diversi, dentro un calice, allora significa che stiamo facendo bene il nostro dovere”. 


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