(Filippo Mazzei)
di Giorgio Vaiana
Senza peli sulla lingua, schietto e diretto negli argomenti spinosi. Parla a 360 grandi Filippo Mazzei, amministratore delegato dell'azienda Mazzei che possiede tenute nel Chianti Classico (Castello di Fonterutoli), in Maremma (Belguardo) e in Sicilia (Zisola a Noto in provincia di Siracusa).
Con lui, però, parliamo solo di Chianti Classico, “altrimenti la nostra intervista dura un giorno intero”, dice ridendo. Ma alla fine è proprio l'argomento che vogliamo trattare. Il Chianti Classico, mai come prima d'ora sta attraversando un periodo d'oro. Lo dimostra l'attenzione massima di riviste di settore (vedi Wine Spectator, leggi questo articolo>), ma anche quella degli appassioanti che stanno comprendendo di quanto questo territorio sia un continente dentro una regione, “un po' come la Sicilia”, dice Mazzei. Si comincia a parlare della vendemmia 2019 e “anche se sembra una frase scontata, detta e ridetta – assicura Mazzei – e si parte sempre dal presupposto che l'ultima vendemmia fatta sia sempre la migliore, questa del 2019 è davvero straordinaria. A memoria, da quando mi occupo di vini e sono oltre 40 anni, avevo visto un'altra sola volta una tale qualità accompagnata dalla giusta quantità. Una vendemmia che non ha sofferto dei cambiamenti climatici. Qui tutto è stato perfetto, dalle escursioni termiche alle temperature ed è davvero incredibile”.
Il Chianti Classico è cambiato in maniera radicale. Lo sa benissimo anche Filippo Mazzei: “Abbiamo vissuto la tragedia degli anni '70 dove si produceva vino da vigneti piantati alla rinfusa con cloni sbagliati, quantità eccessive. I vivaisti non erano preparati su nulla e abbiamo scontato questa non conoscenza per anni. Sono stati piantati tremila ettari in tre anni. E si comprende benissimo di come questo vino non poteva essere vino di qualità. Ma poi finalmente abbiamo compreso”. La rinascita del Chianti Classico, dunque, inizia una trentina di anni fa: “Venivamo dal minimo storico della qualità, dalle aziende che chiudevano o passavano di mano alla nascita dei SuperTuscan. E questo è davvero paradossale. Insomma si comprendeva che forse i vitigni internazionali non erano il male assoluto”. E anche l'azienda Mazzei cominciò a fare alcuni esperimenti: “Abbiamo piantato in una piccola particella alcuni cloni di Cabernet e ci siamo accorti che si potevano fare cose interessanti”: In quel periodo nasce Il Concerto, uno dei vini di punta dell'azienda: “E' andato alla grande, ma non era Chianti Classico – dice Filippo Mazzei – Capimmo che dovevamo studiare i cloni. E così abbiamo iniziato i nostri esperimenti in vigna. Oggi abbiamo 18 cloni certificati nuovi e 18 cloni di selezione nostra. Insomma abbiamo fatto la nostra rivoluzione e oggi il nostro Sangiovese risponde perfettamente alle nostre esigenze, ma soprattutto ci permette di produrre i vini che vogliamo e con cui andiamo sul mercato”.
(Filippo, Francesco e Lapo Mazzei)
Per Mazzei, “oggi è davvero facile fare vini buoni, ma è difficile fare vini di carattere”. E spiega il suo concetto: “Insomma dove non ci sono i vitigni autoctoni i vini sembrano un po' tutti uguali, penso alla Maremma solo per fare un esempio, dove il Sangiovese c'è e non c'è allo stesso tempo – dice – Ma dove esistono i vitigni autoctoni, come nel Chianti Classico, sull'Etna, sulle Langhe, la bravura sta nel fare vini che interagiscano con il territorio in cui nascono. I vitigni internazionali servono a coprire esigenze diverse, di mercato, sono vitigni più versatili. Io non credo che bisogna parlare di viticoltura moderna o di tradizione, bisogna parlare, invece, di viticoltura fatta bene, di impianti ad hoc, di investimenti. Noi siamo la generazione di vignaioli più sfigata. Produciamo vini eccellenti e ce li pagano un terzo del loro reale valore. Speriamo che le cose cambino al più presto”. Capitolo cru: Mazzei la pensa così: “Io ero uno di quelli super contrari alle sottozone – dice – Perché quando sono state proposte non aveva senso. Dicevo che prima era necessario far comprendere cosa fosse il Chianti Classico e poi ok con le sottozone che, però, devono sempre e solo rimanere sulla Gran Selezione. Se si apre a tutto è la fine. Il Chianti Classico non è la Borgogna. Non vorrei che si aprissero lotte fratricide tra chi pensa di fare vini in una zona di “serie a” o in quella di “serie b”. Il denominatore principale è e deve rimanere solo il Chianti Classico”. Poi aggiunge: “La cosa che dobbiamo comprendere è che i viticoltori devono raggiungere certi risultati non perché ce lo dice un disciplinare, ma perché lo vogliamo tutti. I produttori più bravi devono servire da stimolo agli altri. Da noi ce ne sono e tutti dobbiamo guardare a loro con ammirazione e come stimolo a migliorarci”.
A proposito di lotte fratricide, Mazzei analizza il caso della Gran Selezione proposta dai “cugini” del Chianti Doc: “Questa non è sana concorrenza, ma è una cosa fatta appositamente per rompere le scatole – dice – Il Chianti Doc vorrebbe approvare un disciplinare senza senso e a me pare un lavoro fatto di espedienti. Non ci si può avventurare a fare una Gran Selezione sapendo che non hai i produttori in grado di farla. Stanno semplicemente tentando di copiare quello che facciamo noi nel Chianti Classico. La loro Gran Selezione sarà un disastro, un prodotto modesto, fatto dalle cantine sociali, non capisco per ottenere cosa. Noi faremo opposizione in tutte le sedi possibili”. Di Gran Selezione ne avevano parlato nel Chianti Rufina: “Erano state le 22 aziende che fanno parte di questa sottozona del Chianti Doc ad averci raccontato di voler sviluppare questo progetto di Gran Seelezione – dice Mazzei – Credo che avrebbe avuto un senso visto che Rufina, secondo me, è l'unica zona del Chianti in cui si fanno vini di un certo pregio che vengono venduti al prezzo giusto. La loro proposta, come era prevedibile, però fu bocciata dal loro consorzio. E adesso spunta questa novità. Vedremo come finirà”.
Il Chianti Classico però, continua a crescere: “Abbiamo un osservatorio che lavora da circa tre anni e analizza anno dopo anno i numeri di produzione e di vendita nei vari mercati – dice Mazzei – In maniera anonima tutti i produttori inseriscono i loro dati e dal report abbiamo notato un continuo miglioramento non solo dei prezzi di vendita sui mercati, ma anche un miglior posizionamento”. La Gran Selezione fa il 6 per cento del volume totale di vendita del Chianti Classico, la Riserva poco meno del 30 per cento e insieme realizzano oltre la metà del fatturato complessivo dei soci del consorzio: “Ancora non siamo dove dovremmo essere – dice Mazzei – ma la strada intrapresa è quella giusta. Il trend è positivo e siamo contenti”. Nel Chianti Classico il castello di Fonterutoli ha 117 ettari di vigneto per una produzione di circa 650 mila bottiglie l'anno: “La nostra quota export è del 70 per cento – dice Filippo Mazzei – e siamo presenti in 65 paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Svizzera, Scandinavia, Germania, Giappone, Brasile e Russia”. A propostio dei mercati dell'est, Mazzei aggiunge: “Per noi rappresenta il 10 per cento del fatturato – dice – Vanno tutti benissimo, tranne la Cina, un mercato molto difficile dove si vende, ma non si costruisce. Ma è un mercato che va studiato e molto importante. Serve del'altro tempo”. In Italia per Mazzei, per quanto riguarda i rossi, Toscana e Piemonte sono sempre al top, “anche se la Sicilia sta lavorando molto bene e anche loro sono diventati un continente. Per effetto dell'Etna, stanno venendo fuori zone molto interessanti”. E sui bianchi? “Alto Adige in primis, poi il Friuli anche se non sta facendo così bene come dovrebbe e il Verdicchio, una delle cose più interessanti che si produce nel nostro paese. Anche qui, però, i prezzi sono ridicoli”.
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