di Alessandra Meldolesi
Festa nella festa, festa matrioska, il Ferragosto quest’anno compie 2039 anni.
La ricorrenza dell’antica Roma, che continua a ritmare la vita degli italiani durante il trantran vacanziero, è particolarmente sentita nella capitale, dove ha un piatto tutto suo, il pollo con i peperoni. Ma in provincia, nei paesi, ancora si accendono i fuochi nel cielo e le pirotecnie delle grigliate en plein air. Gli chef non fanno eccezione: nelle zone turistiche la trascorrono nell’apnea di un servizio concitato; senza perdere occasione di celebrarla a modo loro, con i clienti, la famiglia e la brigata.
Quasi per tutti, il Ferragosto è brace. “Ma quando ero piccolo, la festa vera era Il 14, al tempo stesso il compleanno di papà e la Madonna del Carmelo con tanto di fuochi nel mio paese di origine, Clusone. Celebrazione che naturalmente si prolungava fino al 15”, ricorda Michele Lazzarini, sous chef del tristellato St.Hubertus. “La sera andavamo a casa di mia zia, per mangiare una grigliata o qualcosa di semplice. La stessa cosa che farei oggi se non lavorassi: verdure e carne sulla brace all’aperto, tempo permettendo. Qui al ristorante ormai cuociamo tutto così, quindi mi viene in mente la nostra carota al barbecue con salsa barbecue di bacche selvatiche e aromi di montagna, rosa canina e mele che danno acidità. Alla fine sembra quasi carne, per la testura e per l’affumicatura. Da bere birra, magari una Ipa che mi piace tantissimo”.
Gli fa eco Valeria Piccini di Caino a Montemerano: “Il Ferragosto da noi è una festa importante. La sera del 14 vengono fatti i fuochi nelle periferie dei paesi, anche se l’anno scorso sono saltati e quest’anno chissà. Io ho sempre passato la giornata al lavoro, ma in genere con la mia brigata riusciamo a ricordare le feste in qualche modo. Un mercoledì vicino a metà mese ci rechiamo alle pendici del Monte Amiata per una grigliata di carne e verdure classica con le nostre cose fredde, come la panzanella. Fuochisti sono Andrea e Valerio, un collega ristoratore. Da piccola invece facevo una scampagnata con gli amici in montagna, perché a papà piaceva l’aria fresca. Ed è quello che vorrei trovare anche oggi: una bella anguria messa a raffreddare nell’acqua della sorgente del monte Amiata, prosciutto e melone, panzanella e carne. Da bere l’acqua di sorgente, per me che sono astemia, e il vino di Maurizio, A Carisio”.
Ma per i romani, come Lele Usai, il Ferragosto ha un altro menu. “Da bambino Ferragosto significava pollo con i peperoni di mamma Franca e nonna Palmira. Ci incontravamo tutti nella casa in campagna della zia per una tavolata di 30 o 40 persone. Mi ha ispirato una ricetta di pesce di fondale marinato alla diavola, sodo come il pollo vero, cotto sul barbecue con creme di peperoni, friggitello alla ricotta e pelle di pollo croccante per il tuffo nel passato. È ancora in carta al Tino e talvolta in versione semplificata al 4112. Al ristorante è una giornata di pieno: non ci sono pause prima della cena. Ma dopo l’ultimo servizio è usanza preparare una spaghettata di pesce per festeggiare la stagione. L’anno scorso c’era l’astice blu dell’asta, non certo degli avanzi: è un momento per premiarci, mi piace esaudire i desideri. Abbiamo un giardino fantastico sul fiume ed è il massimo del relax sedersi con uno spaghetto buono e un bicchiere di vino. Momenti preziosi, che fanno squadra”.
Ma c’è anche chi, come Martina Caruso del Signum di Salina, preferisce preparare una parmigiana fredda con la ricotta fresca di Vulcano. E chi vagheggia i semplici mangiari della sua infanzia spensierata in Sicilia. “Ho ricordi di merende bellissime di pane e olive cunzate, pomodori, origano, cipolle e un grandissimo olio. I sapori che vorrei ritrovare e di fatto ritrovo a Ferragosto: per me un pomodoro vero con un olio serio è già divino. Dai miei era il periodo della raccolta delle mandorle e noi bambini ci divertivamo a dare una mano. Io e il mio fratello gemello dormivamo fuori per il caldo torrido, sotto le stelle, negli occhi lo spettacolo dei fuochi sulle colline”, rievoca Stefano Mazzone, chef del Grand Hotel Quisisana di Capri. “Per il secondo anno, però, faremo solo un brindisi con lo staff. Il Ferragosto è una festa importante per noi e per l’isola di Capri, abbiamo sempre organizzato una grande festa in piscina con centinaia di invitati, ma oggi i tempi e le regole lo sconsigliano. Preferiamo tenere un profilo basso, con l’attenzione corretta che una struttura alberghiera deve assicurare a clienti e dipendenti. Tanto che abbiamo perfino chiuso il gastronomico: siamo operativi solo alla Colombaia, a bordo piscina, con una cucina meno impegnativa che ripercorre la tradizione nel nostro DNA. Forse la cucina del futuro”.
In pochi, tuttavia, propongono qualcosa di speciale al ristorante. Per i clienti del Rosa Alpina, hotel del St. Hubertus, c’è la gita in baita a 2000 metri con light lunch al buffet di piatti classici italiani tipo pinzimoni, pasta, vitello tonnato. “Cose fresche e leggere. Lo facciamo da sempre a Ferragosto, ora anche la domenica a pranzo per il St. Hubertus Unplugged e ha un grande riscontro”, spiega Lazzarini. Fa eccezione Paolo Lopriore del Portico di Appiano Gentile, che riporta la graticola ferragostana al ristorante. “Sono aperto anche a Ferragosto, per dare l’opportunità di festeggiare e fornire un servizio a chi non è partito oppure è rientrato. C’è una minuta della settimana di Ferragosto, e poi c’è quella del Ferragosto tout court, composta di antipasti di grandi ortaggi dell’orto del Monte Carmelo e spiedo telescopico, alla maniera di Rodolfo Guzman. Davanti al ristorante fa un agnello sulla croce; io al Portico ho posizionato un braciere con un braccio, domani dovrei ritirare dal macellaio una pancia di manzo da cuocere appesa sulla fiamma viva. Quindi una cottura ad alta temperatura, non bassa come l’asado. Mi piace l’idea di catturare l’energia solare col fuoco e quella lunare o stellare con il telescopio. Ma alla fine è la classica grigliata di Ferragosto. Celebra l’unicità di questo giorno e ne capta l’atmosfera, perché il meteo influisce sull’affumicatura, soprattutto se la fiamma è alta. Inizierò alle 5 di mattina per essere pronto a mezzogiorno. In delivery invece c’è il timballo di pasta al forno con melanzane e polpette, che fa scampagnata. Come quella con mia nonna, che lo chiudeva nello straccio e lo portava in treno. Poi ci lavavamo la faccia nel mare. Tutte cose che vorrei mangiare anche io. Se le faccio, è perché mi piacciono”.
Pasta al forno anche da Roots, la trattoria dei Bros’, secondo le tradizioni del Salento. Anche se Floriano Pellegrino coltiva sogni impossibili: “Personalmente ci piacerebbe mangiare quello che non mangiamo mai durante l’anno. O ci piacerebbe viaggiare e andare a mangiare da qualche parte e provare qualcosa che non mangiamo mai, anche se è praticamente impossibile, ma ci piacerebbe farlo. Invece abbiamo sempre lavorato, anche da piccoli nell’agriturismo di famiglia”.