di Marcella Ruggeri
Un tripudio di sapori e fragranze potrebbe dileguarsi persino dalle tavole casalinghe di una vasta porzione della Messina tirrenica.
L’operazione anti-esaurimento di prodotti autoctoni della Valle del Niceto poggia sull’intuizione della Comunità omonima che afferisce a Slow Food (la Condotta “Peloritani Tirrenici”) e nasce poco prima del sopravvento del Covid–19. Ed è la portavoce di questo Organo associativo Grazia Paino a lanciare l’allarme almeno 10 anni fa con la Pro Loco di Roccavaldina in quanto presidente e, successivamente, da assessore alla Cultura e al Turismo con la passata Legislatura comunale per trovare cooperative che volessero investire su quest’area con dei progetti europei. A Monforte si stanno già adoperando. Dal “Pomodoro Ruccaloro” (di Roccavadina) o a scocca alle “Mele Lappedde”, dalle Pesche “Sbergie” o “Smergie” (del genere Netterina) alle “Patate Primaticce o Sieglinde” reputate le più buone d’Italia alla “Faciola Poverella”, queste ultime tre di Torregrotta. Queste sono le ricchezze ortofrutticole rientrate nel documento che è stato stilato dalla Comunità Valle del Niceto il 23 novembre 2019 e consegnato al presidente Slow Food dell’epoca Saro Gugliotta, dopo aver vagliato la presenza dei produttori per ogni tipologia.
(Mela cotogna)
Nell’elenco c’è l’attenzione a custodire intatte alcune ricette quali la Soppressata tagliata a coltello che è di un macellaio di Monforte d alcune dell’arte dolciaria: Ciauna – una specie di focaccia dolce, connessa alla Pasqua, di tradizione rurale (fatta con ricotta di pecora, formaggio fresco di pecora di 10 giorni, mescolato a cannella e zucchero; ora tuma) e il Biscotto Sampirotu, legato al rito del matrimonio (offerto al posto del confetto). A restare fuori per il momento dalla speciale lista per l’accesso ad una speciale valorizzazione sono la “Mela Cotogna” che cresceva a San Pier Niceto, ottima per realizzare le confetture e il dolce cotognata e la “Zuccarata” (in dialetto) della stessa cittadina, ricoperta di sesamo e preparata con pasta di pane, strutto e zucchero. Certo, sarebbe un peccato perdere nel caso della mela cotogna, un frutto carico di storia e leggende, in quanto si racconta che l’albero proibito dell’Eden fosse un melo cotogno e che l’antefatto della guerra di Troia abbia la mela cotogna come oggetto del contendere “tra le dee più belle” perché scaraventata sul banchetto dalla dea della discordia Eris. Ancora, per Greci e Romani, la mela cotogna simboleggiava la fecondità e veniva consumata con il miele sopra o ricavandoci del sidro.
(Pesca Sbergia)
La diffusione del Covid ha bloccato la riattivazione dei singoli produttori mentre l’esodo dalle campagne dei giovani indebolisce qualunque spirito di tramandare l’abilità e la tecnica nell’agricoltura. Certe leccornie acquistano gusto, profumo e valore differenti, in base al luogo in cui vengono piantate e cresciute e questo sta alla base della biodiversità. Ecco perché il pomodoro a scocca che sta svanendo da Roccavaldina, se non come produzione in famiglia o in piccole aziende di ristorazione, è stato “preso in prestito” a Monforte San Giorgio e San Pier Niceto. Ma i semi attecchiscono diversamente. Dagli anni ’70 fino alla fine degli anni ’80, il territorio sfoderava notevoli quantità di pomodorini “ruccalori” da poter commercializzare anche all’estero perché questi resistevano tutto l’anno. Ora l’offerta è appesa al palo e il loro seme si è incrociato con quello Pachino e Datterino. Diversa la sorte delle pesche sbergie, che andavano fortissimo fino agli anni ’90, poi diminuendo i produttori si è puntato agli ibridi con le pesche-noci che sono finiti (quasi ai nostri giorni nell’ordine di 8mila tonnellate) nei mercati di Messina, Catania e Reggio Calabria. Si sta cercando di ripristinare le originali con qualche zelante contadino che ha interpellato la politica, in particolare il Sottosegretario e senatrice Barbara Floridia. Cenni storici della sbergia relativa a questa area ci riportano al 1516 perché la sua piantagione compare nel trattato “De agricultura opusculum” del Venuto.
Le patate primaticce, che avevano una conclamata bontà e una massiccia richiesta in Germania, sono state sostituite dalla frutta esotica. Questa moda di nicchia biologica ha preso piede per il rialzo delle temperature che ammazzano pesticidi e conservanti della frutta fresca. Così, gli imprenditori hanno reagito preferendo le coltivazioni di mango, avocado, papaya e frutto della passione che vengono venduti a prezzi più bassi rispetto agli importati ed entrano nei piatti chic come nei secondi e nelle insalate. Sulla mela lappedda (tipo di mela gialla, piccola e profumatissima) che viene conservata nelle reti della mortadella, si sta procedendo con un salvataggio in calcio d’angolo anche grazie al suo inquadramento nell’Arca del Gusto di Slow Food. Si vorrebbe mettere sulla stessa strada anche i Pomodori Roccalori. Ad intervenire è il professore universitario di Biodiversità Francesco Sottile, nonché componente del Comitato Nazionale di Slow Food. “La mela lappedda è stata inserita dalla Regione siciliana come varietà della biodiversità – puntualizza -, in effetti era data come una varietà a rischio estinzione già da una decina d’anni, quando con Slow Food mi sono occupato di un progetto di recupero delle risorse genetiche vegetali in Sicilia come ricercatore di Università e collaboro tuttora per l‘implementazione del repertorio con la legge sul “Born in Sicily”. Conosco il pomodoro a scocca e la mela cotogna come tradizione, evidentemente la quasi scomparsa dell’ortaggio è un’incognita dell’uso e della lavorazione post raccolta. Nessuno dei due mi è stato segnalato in modo ufficiale né come docente universitario né come membro nazionale Slow Food. Se ne può discutere e aprire un dialogo con i coltivatori, ma posso confermare che per esempio per la smergia c’è un interesse di andare verso l’Indicazione Geografica Europea. Qualcuno del territorio ha sollecitato il Ministero competente e io sono stato contattato da persone del luogo per verificare verso la metà di luglio la fattibilità di classificare la smergia con Igp o Dop. Questa è una richiesta impegnativa perché mi piace capire che tipo di prospettive ci sono”. Il vincolo sottolineato da Sottile è che non si dovrebbe fare istanza per ottenere questi marchi di appartenenza al territorio per una produzione esigua, per esempio, di cinque ettari “perché quest’area sarebbe già a rischio scomparsa per cui adottare l’indicazione geografica protetta e non poter poi coltivare il prodotto è un problema serio”.
(La cotognata)
“Non siamo stati capaci di evolverci – dice la presidente Grazia Paino –. Abbiamo della aziende che sono vicine a noi e afferiscono a Slow Food e pubblicizziamo con la Pro Loco le loro produzioni, per esempio le marmellate biologiche della “Zagara in Fiore” che è in zona Pellegrino, a Monforte San Giorgio. Per il “pomodorino a scocca”, c’è qualche raro caso che lo produce ma per uso casalingo. Noi abbiamo realizzato la Sagra del pomodorino a scocca, abbiamo organizzato dei convegni con Slow Food pensando di riuscire a coinvolgere soprattutto i giovani a costituire delle cooperative e riprendere la coltivazione di questo pregiato prodotto che ha una suo spiccato carattere. Non è come il Pachino”. La lavorazione di questo ortaggio rosso anche detto “siccagnu” (perché cresce in un territorio senza acqua) è complessa. Le donne utilizzavano il sistema delle scocche per legare i pomodori che venivano sistemati nel soffitto in una zona a temperatura un po’ fresca, tipo una cantina e duravano tutto l’anno. “Il risultato era un prodotto pregevole con un sapore dolcissimo e forma particolare (alla base presentava una parte prolungata) – sciorina la professoressa – che veniva portato ai rivenditori come merce di una certa nobiltà. Poi, questa piantagione che era endemica è stata coltivata a San Pier Niceto e a Monforte San Giorgio. Roccavaldina è un paese da elogiare da un punto di vista paesaggistico, storico e monumentale. Il territorio è molto chiuso con le sue mille anime. I giovani non vogliono lavorare la terra. La produttività di un popolo è visibile dalla presenza di attività commerciali e ristorazione. Roccavaldina ha perso, oltre al ristorante, anche il panificio. Mentre a Monforte ci sono ristoranti, un’azienda agricola fatta da ragazzi e molte attività economiche. Il lavoro dei campi non attrae perché c’è una cultura storica che vede i giovanissimi accompagnare i pensionati e a crescere viziati”.
Nell’azienda agricola di Monforte che ha avuto un cambio di gestione sempre in famiglia da tre anni, alcuni giovani (tra i 30 e 40 anni) si sono industriati per produrre qualche specialità che viene poi cucinata nel loro ristorante, oltre ai digestivi alla cannella, all’alloro. Il 25 luglio, ci sarà la manifestazione di “Cortile in Cortile” per divulgare i nostri prodotti. “A Torregrotta c’è la sbergia – ribadisce Paino -, che deve essere messa in salvo perché ancora è reperibile. E’ più apprezzata e più antica della “mela lappedda”, meno conosciuta. La sbergia ha la durata di un periodo estivo, a luglio ed agosto ed è molto delicata il che rende arduo l’eventuale esportazione in altre province e nazioni. E’ molto più gustosa della pesca tradizionale”. Poi avverte: “Hanno provato nella zona del ragusano e Catania ad imitarla, ma non ci sono riusciti adeguatamente perché non hanno i semi di una volta presenti a Torregrotta. Mi hanno chiamato da Roma dal Ministero dall’Agricoltura per vedere se recupero qualcosa. Torregrotta in passato faceva capo a Roccavaldina. Tutti i paesi di questo versante hanno un territorio sul mare: Rometta Superiore e Marea, Venetico Superiore e Inferiore. Roccavaldina che era a capo di un vasto territorio non si è preso il terreno a mare e poteva farlo”. Secondo la presidente della Pro Loco supportata da esperti agronomi, forse, la piccola dimensione delle mele lappedde ha fatto sì che questo frutto non riuscisse a sopravvivere in un ambiente inquinato o venisse attaccato più facilmente dagli insetti. Forse alla maggior parte dei compratori questo genere di coltivazione non interessa, non conoscendo le proprietà di questa mela, il sapore e il profumo e non ne dà importanza. “Bisognerebbe propagandarla perché il prodotto venga immesso di nuovo sul mercato – aggiunge -. Viene coltivata nelle aree di collina come San Pier Niceto e Roccavaldina e sta per terminare. Non c’è più la richiesta di mercato per cui magari i produttori l’hanno trasformata in mela normale. Chi non la conosce la vede in una cassetta e non le dà il valore che meriterebbe. Eppure questo tipo di frutto si mantiene molto bene in un luogo fresco, come il pomodoro a scocca. A Monforte il pomodoro è molto buono dal punto di vista organolettico con molte proprietà però non ha lo stesso sapore”.
(Le formine per la cotognata)
Per recuperare le “colture resilienti” dei territori prospicienti la Vallata del Niceto, la Comunità ad essa intitolata si è posta degli obiettivi. Per colture resilienti, si intendono quelle nate in località disagiate e trascurate perché non c’è amore verso il mestiere delle piantagioni quindi possono essere: orti, campi di grano, alberi o qualsiasi altra attività agricola di queste zone in stato di incuria o destinata alla cementificazione. Possono sorgere nei territori montani o nelle piccole isole di mare e hanno in comune la possibilità di tutelare prodotti da introdurre nell’Arca del Gusto. La Comunità avrà come priorità di preservare quei prodotti che ricadono nei 5 comuni: Roccavaldina, San Pier Niceto, Valdina, Torregrotta e Monforte San Giorgio. Si è prefissata di mappare le colture antiche e tradizionali della Valle che possono aiutare a frenare il pericolo dell’abbandono agricolo dei terreni, favorendo l’imprenditoria agricola, possibilmente delle nuove generazioni che agiscano nel rispetto dei principi Slow Food del Buono, Pulito e Giusto. La cura di tutta la filiera metterà in relazione produttori con ristoratori e individuerà circuiti di visibilità di ciò che si crea in loco, magari facilitando azioni di vendita verso consumatori attenti e sensibili alla qualità e sostenibilità dei prodotti.