Come si pranzava nell’Ottocento durante il Carnevale? Come si affrontava in cucina la Quaresima in un periodo in cui l’idea del peccato mortale governava le vite della maggior parte delle persone in Sicilia? E, ancora, quali erano i piatti più in uso sulle tavole nobiliari durante la Pasqua? Per rispondere a queste e altre domande e soddisfare tante piccole curiosità legate al cibo del passato, il giornalista ed enogastronomo Gaetano Basile insieme allo chef Natale Di Maria di Villa Boscogrande a Palermo hanno pensato di creare il ciclo “I pranzi storici a Villa Boscogrande – Seimila anni di cucina in Sicilia” che si tengono saltuariamente la domenica in villa. Non semplici pranzi, ma occasioni uniche di immersione nella storia e nella cultura gastronomica siciliana: Basile elabora un menu che prende spunto da studi appassionati e da documenti storici e Di Maria mette a punto i piatti basandosi sulle antiche ricette dell’archivio storico del giornalista, piatti che poi, durante il pranzo, il simposiarca Basile racconta agli ospiti. Un duo imbattibile per fare un’esperienza sensoriale diversa, intrisa di storia e di curiosità, che indaga sul nostro passato attraverso la cucina nello stesso luogo dove antichi sapori e profumi venivano celebrati e che si erge così a baluardo nella tutela della cucina siciliana dei Monsù.
Noi proviamo il menu di Carnevale e scopriamo, così, che il Duca di Montalbo offriva come benvenuto ai propri ospiti acqua fresca e zammù, il liquore a base di anice utilizzato dai siciliani per aromatizzare l’acqua fin dai tempi della dominazione araba negli ultimi due secoli del primo millennio dopo Cristo, accompagnandola a tuma fresca e olive “acciurate”, olive nere maturate sull’albero che vengono de-amarizzate grazie all’utilizzo del sale e conservate in olio extravergine di oliva e aromi. Oppure che in Sicilia non si usava l’antipasto, ma ogni pranzo veniva aperto da un piatto caldo, per lo più un “putaggio”, una minestra di verdure o cereali che chiaramente doveva il suo nome al francese “potage”. O ancora che i mandarini arrivano in Europa nel 1836 grazie ai Borbone che li coltivavano nel loro Parco della Favorita e ne fanno dono agli aristocratici europei. In cucina vengono utilizzati per la prima volta nel 1839 da un monsù, come erano chiamati i cuochi francesi che cucinavano nelle cucine nobiliari, anche in questo caso usando un termine che proviene dal “monsieur” francese. Anche il pomodoro si inizia ad utilizzare trasformato nello stesso periodo ma, essendo difficile da conservare, si fa seccare al sole su grate di legno e con il suo saporitissimo concentrato, “u strattu”, si condiscono le pietanze.
Ed è così che a tavola, accompagnati dal racconto di Basile, arrivano la minestra di lenticchie di Ustica, le alici marinate in succo di mandarino e le busiate “c’anciova”, nelle quali ritroviamo tutto il sapore di un piatto antico, semplice all’apparenza, ma difficilissimo da riprodurre, oggi troppo spesso maltrattato a causa dell’utilizzo della passata di pomodoro al posto di quello esclusivo del concentrato. Lo chef dimostra così, non solo la sua maestria, ma anche una profonda conoscenza della tradizione. In occasione dell’uscita de “L’orata del Monsù all’arancia della Conca d’oro”, per altro deliziosa, veniamo a sapere che fu Caterina de’ Medici nel XVI secolo a portare il toscano “paparo al melarancio” in Francia che divenne presto un piatto tipico della cucina francese con il nome più noto di “canard à l’orange”. E scopriamo anche che la transizione dal secondo di pesce a quello di carne si faceva inframezzandoli con una caponata che mai andava accompagnata al vino, proprio per resettare le papille gustative. Ruggero II era un amante della caccia, di lui si dice che uccidesse i cinghiali con un colpo netto di spada sotto la gola e che dell’animale mangiasse solo il filetto cucinato con mele verdi e a tavola arriva il “Filetto di cinghiale di Re Ruggero II”, la cui carne sorprendentemente tenera e la salsa alle mele ci incanta letteralmente.
Chiudono il pranzo, come nella migliore tradizione, i cannoli alla ricotta preparato secondo l’antica ricetta delle suore del Monastero di Santa Caterina d’Alessandria di Palermo dallo chef Giuseppe Triolo. Un bel pranzo che ha visto la partecipazione, sia in sala che in cucina, degli allievi dell’Istituto Alberghiero “Prealpi” di Saronno, in provincia di Varese, capitanati dal loro professore, il siciliano chef Carlo Mazara, in un viaggio di istruzione a Palermo che gli ha permesso di vivere quest’esperienza così singolare e formativa. Per tutti coloro che volessero partecipare a uno dei pranzi, il calendario è consultabile sul sito di Villa Boscogrande.