Va bene Bordeaux, ma siete passati dalla California, dall’Austria ed ora ci preferite Hong Kong?
Deve essere stato più o meno questo, in estrema sintesi, il ragionamento di Piero Antinori, presidente dei Grandi Marchi, quando ha convinto i Master of Wine a scegliere l’Italia per l’ottavo simposio, che si è svolto a Firenze tra il 15 e il 18 maggio scorsi.
Una bella soddisfazione per Antinori che traccia un bilancio positivo della rassegna che si svolge ogni 4 anni, coinvolgendo le massime autorità mondiali del settore. “Tutti i partecipanti e tutti i Master of Wine – afferma – mi hanno espresso un sincero apprezzamento, non solo per l’organizzazione ma anche per l’idea di avere svolto questo importante appuntamento in Italia. Finalmente anche questo circuito molto esclusivo che fino ad ora aveva snobbato un po’ il vino italiano, o perlomeno non lo aveva preso bene in considerazione, si è ricreduto”.
Antinori si è giocato prima i numeri che ormai vedono l’Italia come una delle aree più influenti nel mappamondo del vino. “La candidatura alternativa alla nostra era Hong Kong, ed allora – continua il marchese – ho detto loro: prima di andare lì, piazza sicuramente importante dal punto di vista commerciale, non si può trascurare l’Italia che è uno dei primi Paesi produttori al mondo”.
E poi c’ha messo anche un po’ di storia, tirando fuori una carta che difficilmente perde, quella di Firenze e della sua storia e del suo fascino. “Il tema del convegno – spiega Antinori – era “Innovazione, immaginazione”, corrisponde molto allo spirito del Rinascimento e all’anima della nostra città. Forse anche per questo li ho convinti e il simposio si è svolto così in Italia. E tutti sono rimasti colpiti della grande diversità dell'Italia del vino, un importante punto di forza che dobbiamo comunicare sempre di più e sempre meglio”.
Fra quattro anni, stavolta, quasi sicuramente toccherà a Hong Kong ospitare i superappassionati ed esperti del vino. “E noi li lasceremo andare – scherza il presidente di Grandi Marchi – sperando che si portino qualche ricordo bello del vino italiano. E comunque con una certezza, quella che le nuove generazioni di Master, sono più desiderose e curiose di conoscere vini che i loro genitori ignoravano”. Questo anche perché è cambiata la composizione geografica ed anagrafica dei MW. Prima erano quasi tutti inglesi. Adesso ci sono anche americani, australiani, neozelandesi, indiani. “E – chiude Antinori – speriamo presto che anche qualcuno degli italiani che hanno superato il primo livello diventino tra qualche anno Master of Wine”.
Fra. S.