(Raffaele Librandi)
di Francesca Landolina, Cirò (Kr)
Una nuova generazione di giovani produttori tornati in vigna e pronti a rinnovare le aziende di famiglia ha dato un nuovo impulso alla Doc Cirò, che oggi compie 50 anni.
Era nata nel 1969, anno in cui i capostipiti delle famiglie viticultrici della città decisero di ottenere il giusto riconoscimento per il vino simbolo della regione Calabria, lo stesso che veniva offerto ai vincitori delle olimpiadi come nettare degli Dei. La viticoltura in Calabria si praticava però da millenni. Non a caso la regione venne chiamata Enotria, grazie alla particolare fertilità dei suoi terreni, così adatti al crescere rigoglioso del vitigno Gaglioppo. Al convegno di celebrazione “Cirò, 50 anni di denominazione di origine controllata: scenari opportunità in un mercato globale tra storia, cultura e tradizione”, che si è tenuto a Cirò, si è parlato proprio di questo, ma soprattutto del cambiamento. “Oggi la situazione è totalmente cambiata – ha affermato il presidente del Consorzio di Tutela Vini Cirò Raffaele Librandi – Già nei primi anni ’90 abbiamo assistito a un progressivo decremento della vendita dello sfuso, ma il cambio radicale, quello che ha influito in maniera sensibile sullo sviluppo della denominazione e del Consorzio, lo abbiamo avuto negli anni 2000. C’è stata un’ondata di ragazzi di Cirò che hanno deciso di intraprendere studi in agraria per apportare competenze e know how a quella che era l’azienda di famiglia. Grazie al cambio generazionale, oggi Cirò è una realtà produttiva nella quale convivono la grande azienda tradizionale e la piccola azienda biologica o biodinamica. Questo impulso, negli ultimi anni, ha determinato un incremento produttivo di tutto rispetto, portando da 3 a 4 milioni le bottiglie prodotte e collocate sul mercato”.
Il comprensorio del Cirò ricade all’estremo nord della provincia di Crotone, sul litorale della costa Ionica e nel suo entroterra collinare sino alle prime pendici della Sila. Comprende un territorio esteso per circa 20.000 ettari si estende lungo la fascia litorale ionica per circa 25 chilometri e si spinge per oltre 10 chilometri nell’entroterra. Oggi il 40% della produzione è costituita dal Cirò Rosso, un 30% dal rosa e l’altro 30% dal bianco, realizzato da uve di Greco Bianco. Sono 2.500 gli ettari vitati, di cui 400 rivendicati a Cirò Doc Classico. 200 i viticoltori, 54 i vinificatori e 45 gli imbottigliatori. Nel 2018 sono state prodotte 4 milioni di bottiglie circa, per un giro di affari dalla commercializzazione di 15 milioni di euro. Adesso il Consorzio punta alla promozione e a rafforzare la presenza sui mercati nazionali ed esteri.
“Puntiamo tanto alla promozione – ha commentato Librandi -.Per il prossimo triennio sono molti i progetti che dovremo sviluppare. Il principale è costituito da “Rosautoctono”, l’istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano. Accanto ad esso, abbiamo un altro obiettivo di primo livello: ottenere il riconoscimento della Docg Cirò Rosso Classico Superiore, la cui domanda è stata appena depositata in Regione per dar via all’iter burocratico. E poi ci sono altri eventi, come Rosso Calabria e il Cirò Wine Festival, che da qualche anno riscuote un grande successo di pubblico. Dal punto di vista commerciale infatti, il target da raggiungere è il consolidamento nel mercato italiano, nel quale la Doc Cirò è ancora poco conosciuta, mentre a livello internazionale l’obiettivo è l’allargamento delle quote di mercato in Asia e Nord Europa.
L'export del Cirò Doc è pari al 45% del fatturato totale, il principale mercato europeo è la Germania, seguito in ordine da Stati Uniti, Svizzera, Inghilterra, Olanda, Belgio, Canada. Alcune aziende stanno iniziando ad avere rapporti commerciali con il Giappone, e il prossimo obiettivo sono i Paesi Scandinavi. Il 55% del fatturato del Cirò Doc è destinato al mercato italiano: circa il 40% viene venduto all’interno della Calabria, grazie anche agli elevati flussi turistici. Presenti al convegno numerosi relatori, tra i quali il sindaco di Cirò, Francesco Paletta, che è anche coordinatore regionale dell’associazione Città del vino: “Spesso siamo stati più bravi a dividerci che ad unirci, ma mai come in questo momento il consorzio di tutela ha creato le condizioni per una condivisione e una crescita, quella del Cirò, rispetto ad altri vini di altri territori. L’eccellenza la si vede negli ultimi anni, con le cantine che hanno creato prodotti di nicchia di alta qualità e spendibili. Il marchio Cirò abbia una cassa di risonanza a livello nazionale, e sia da traino anche per lo sviluppo di un turismo di alto livello”.
Tra i relatori anche Giacomo Giovinazzo, dirigente generale dell’assessorato calabrese dell’Agricoltura. E Giuseppe Liberatore, direttore generale ValorItalia, ente certificatore, a fianco della Doc. “Certificarsi – ha affermato Liberatore – è dare garanzia, è un valore aggiunto da vendere, perché dà certezza ai consumatori”. ValorItalia è il primo ente di certificazione in ambito vitivinicolo con 220 denominazioni, 5.000 tipologie differenti per il 49 % della quota di produzione nazionale (1.562.695.0061 bottiglie certificate). Riguardo alla Doc Cirò su una produzione di 40.065 ettolitri, l’imbottigliato è pari 30.743 bottiglie. Interessante anche l’intervento del presidente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro, che ha tracciato il quadro di sintesi del sistema italiano delle denominazioni: 525 nel paese Italia, 74 Docg, 333 Doc, 118 Igt con un fatturato complessivo di 13 miliardi, 310 mila imprese, 46 mila aziende vinificatrici.
“Bisogna cambiare la visione che si ha della denominazione – ha commentato durante il suo intervento – Non basta avere un buon vino, un buon disciplinare e fare promozione. Siamo obbligati a dimostrare ai consumatori che viviamo in un bel posto, ma non basta ancora. Occorre verificare l’attenzione ad un aspetto dimenticato: la sostenibilità non solo ambientale ma umana. Ci chiediamo: le aziende pagano correttamente i dipendenti? La qualità del vino passa anche dall’aspetto sociale. E importante è la protezione internazionale delle nostre denominazioni. Un nostro grande compito infino sarà quello di fare sintesi. Lo spunto di riflessione serva anche alla Doc Cirò e alle piccole Doc limitrofe, unificare semplifica e aiuta. Le bottiglie prodotte a Doc Melissa sono 132.533, forse ha un senso fare una sintesi e volgere verso una sola denominazione”.
(Francesco Liantonio)
In chiusura, l’intervento del presidente di ValorItalia Francesco Liantonio: “La forza del sud è creare relazioni. Qui ognuno di voi ha una parcella di territorio da tutelare. E per questo è fondamentale il ruolo del consorzio di tutela, responsabile primario. Questi 50 anni siano un punto di partenza. La presenza di molti di noi qui oggi significa che siete una particella importantissima del made in Italy – ha affermato rivolgendosi ai produttori -. Il sud oggi non è più cenerentola, ma riflette un nuovo risorgimento. Non bisogna avere paura del controllo, non consideratelo un costo ma un investimento, serve a valorizzare e tutelare il vostro patrimonio collettivo. Va bene unificare e fare sintesi e vi invito a riflettere su una cosa: se facciamo la Docg per 1.000 bottiglie da immettere sul mercato meglio non farlo. Per valorizzare le doc, si può anche fascettare. Pensate seriamente ad una riorganizzazione territoriale. Sedetevi al tavolo e rappresentate un territorio più vasto. Ricordiamo infine gli standard del futuro, la sostenibilità non solo ambientale ma soprattutto sociale”.