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Scenari

Granchio blu, cinque ragazze rivoluzionano il mercato con Blueat

24 Febbraio 2025
Ilaria Cappuccini, Matilda Banchetti, Giulia Ricci, Carlotta Santolini e Alice Pari Ilaria Cappuccini, Matilda Banchetti, Giulia Ricci, Carlotta Santolini e Alice Pari

Originario delle coste atlantiche americane, il granchio blu (Callinectes sapidus) è giunto nel Mediterraneo probabilmente attraverso le acque di zavorra delle navi. Da qualche anno è diventato un tema di grande discussione, attirando l’attenzione del pubblico grazie agli allarmi lanciati dai pescatori e ai dibattiti politici che ha generato. La sua rapida diffusione ha avuto, infatti, un impatto significativo, mettendo a dura prova la pesca italiana e, in particolare, gli allevamenti di vongole dell’area adriatica. Ma è nell’estate del 2023 che la questione ha avuto una risonanza mediatica enorme. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha pubblicato un video in cui cucinava il granchio blu, promuovendone l’utilizzo in cucina. A seguire, sempre sui suoi canali social, è comparsa una foto della premier Giorgia Meloni con un vassoio di granchi, uno scatto che ha alimentato ulteriormente il dibattito pubblico. Per settimane il tema è stato al centro dell’attenzione, suscitando opinioni contrastanti. Come spesso accade, però, il clamore si è poi affievolito. A un anno e mezzo di distanza, di granchio blu si parla meno, ma il problema resta. C’è però chi aveva intuito il fenomeno prima che diventasse un caso mediatico: si tratta di Blueat. La pescheria sostenibile, start-up nata a Rimini nel 2021 con l’idea di trasformare questa specie aliena in una risorsa, ben prima che l’argomento esplodesse sulle prime pagine. Anima del progetto sono cinque giovani donne: Carlotta Santolini, biologa marina, Ilaria Cappuccini, esperta in food & wine business, Matilda Banchetti, laureata in ingegneria gestionale, Giulia Ricci, esperta in marketing e comunicazione e Alice Pari, antropologa con un master in fondi e bandi europei. Per saperne di più e capire cosa è cambiato dopo il clamore del 2023, abbiamo intervistato per Cronache di Gusto Ilaria Cappuccini, che ci ha raccontato come è nato tutto e quali sono le prospettive future del mercato del granchio blu.

Come e quando è nata Blueat?
“Blueat è nata ufficialmente nel dicembre 2021, ma l’idea risale all’estate del 2020, quando Carlotta Santolini, biologa marina, è venuta a conoscenza del problema del granchio blu durante un viaggio di ricerca in barca a vela. Mi ha contattata proponendomi di fare qualcosa, e con la mia formazione in arti culinarie, ho subito pensato a un utilizzo alimentare. Insieme alle altre fondatrici, Matilda Banchetti, Giulia Ricci e Alice Pari, abbiamo iniziato a fare ricerca, scoprendo che in pochi conoscevano il problema. Il nostro primo evento è stato una fiera in Emilia-Romagna, dove abbiamo cucinato un piatto a base di granchio blu. Da lì, non ci siamo più fermate”.

Come ricordi i primi passi?
“Difficili. Eravamo cinque ragazze con un’idea innovativa ma senza esperienza nel settore ittico. Abbiamo dovuto guadagnare credibilità, puntando soprattutto sulla comunicazione per spiegare il problema e presentare la nostra soluzione. Una delle difficoltà iniziali era che nessuno sapeva come trasformare il granchio blu. Alla fine, però, abbiamo trovato un’azienda a Mestre che ci ha supportato nella lavorazione. Oggi, grazie a loro, lavoriamo fino a 5 tonnellate di granchio blu al giorno”.

Quali sono oggi i vostri mercati principali?
“I mercati principali di Blueat sono tre: la grande distribuzione, per cui abbiamo sviluppato prodotti pronti come polpette, sughi e crema di granchio; la ristorazione, a cui forniamo la polpa di granchio estratta al naturale; e l’export, in particolare gli Stati Uniti, dove il granchio blu è molto apprezzato”.

Avete raggiunto ottimi risultati in poco tempo. Come avete fatto?
“I primi anni sono stati anni di grossi investimenti di tempo. Abbiamo scommesso su qualcosa di incerto, senza sapere come sarebbe andata, ma ci abbiamo creduto. Per molto tempo ci siamo dedicate quasi esclusivamente alla divulgazione. Abbiamo partecipato a tantissime fiere, eventi, incontri istituzionali e abbiamo parlato con il Ministero. Siamo andate alla Camera dei Deputati, dove abbiamo cucinato un pranzo a base di granchio blu. Investire nella comunicazione è stato fondamentale per far conoscere il nostro progetto”.

Quando si sono accesi i riflettori, eravate pronte?
“Quando nell’agosto del 2023, il granchio blu è diventato un tema nazionale, avevamo già svolto una buona parte del lavoro. Basta pensare che chi cercava sul web “granchio blu”, finiva per trovarci. Avevamo venduto il nostro primo carico di granchio blu proprio quell’estate ed eravamo già impegnate in progetti internazionali, in particolare negli Stati Uniti, dove avevamo trovato i nostri primi contatti. Questa coincidenza ha giocato a nostro favore. Anche se, paradossalmente, ci siamo trovate di fronte a un piccolo cortocircuito: mentre noi cominciavamo a vendere, i pescatori hanno cominciato a ricevere fondi per la cattura e lo smaltimento. E così ci siamo trovate a dover pagare di più il pescato per entrare nel mercato. Nonostante le difficoltà iniziali però, quel periodo è servito a creare solide collaborazioni con le cooperative, che oggi apprezzano il nostro lavoro”.

Come viene percepito il granchio blu dai consumatori italiani?
“In Italia, il granchio blu non fa ancora parte della tradizione culinaria. La comunicazione è stata inizialmente confusa e molte persone lo vedono solo come una minaccia per l’ambiente. Alcuni ci chiedono ancora: “Ma si mangia davvero?”. Abbiamo dovuto lavorare molto per sfatare questi pregiudizi, facendo provare il prodotto direttamente ai consumatori, collaborando con chef, tra cui anche Chiara Pavan, una stella Michelin e una stella verde, e organizzando eventi di degustazione”.

Come avete lavorato per cambiare questa percezione?
“Abbiamo puntato molto sulla degustazione. È importante che il pubblico comprenda che il granchio blu è un alimento buono e non solo una specie invasiva”.

Dalla vostra esperienza, sono nate altre realtà simili?
“Ad oggi, siamo i più grandi trasformatori di granchio blu in Italia. Ci sono altre aziende che lavorano nel settore ittico e trattano anche il granchio blu, ma i loro numeri sono più piccoli rispetto ai nostri. Noi siamo gli unici ad occuparcene esclusivamente”.

Quali sono le vostre prospettive future?
“L’obiettivo principale è espandersi all’estero. Puntiamo però a entrare sempre più nelle catene di grande distribuzione, come Esselunga o Coop, dove già i nostri prodotti sono presenti, così da poter coprire tutto il territorio nazionale. Al momento siamo presenti fino a Roma, ma vogliamo crescere ulteriormente. E poi, in futuro, vorremmo esplorare altre specie cosiddette aliene e lavorare su progetti legati a loro”.

Avete mai pensato di aprire punti vendita fisici?
“Ci piacerebbe molto, specialmente a Rimini, ma al momento è solo un sogno. La nostra priorità ora è crescere all’estero. Non escludiamo però questa possibilità per il futuro”.

Un’iniziativa come questa potrebbe portare il granchio blu a diventare un prodotto tipico?
“Sarebbe bello che il granchio blu potesse diventare un prodotto tipico, come la piadina. É un po’ quello che è accaduto con le vongole veraci, che provengono dalle Filippine ma sono ormai ben accettate in Italia. Ci auguriamo che il granchio blu possa seguire lo stesso percorso, diventando un ingrediente pregiato del nostro paese”.

Cosa ti ha insegnato l’esperienza di Blueat?
“Mi ha insegnato che, se credi in qualcosa, con perseveranza e impegno puoi ottenere risultati. È stata una prova di coraggio e determinazione, e ci ha spinte a non arrenderci mai. Abbiamo dimostrato che le donne possono essere protagoniste anche nel settore della pesca, un campo tradizionalmente dominato dagli uomini. Ogni giorno è un’opportunità e siamo orgogliose di quello che abbiamo costruito insieme”.