di Giorgio Vaiana, Bologna
Un patto. Anzi un’alleanza. Per una cucina buona, pulita e giusta.
Allo Slow Wine Fair di Bologna (che si conclude domani) c’è spazio anche per gli oltre 400 cuochi italiani che hanno formato una vera e propria alleanza. Estesa non solo a chi la cucina la vive tutti i giorni, ma anche ai produttori e agli stessi lavoratori di questi ristoranti, L’alleanza in questi anni è cresciuta tantissimo, tanto da espandersi al di fuori dei confini nazionali. E così si sono aggiunti chef da tutti i continenti, superando quota 1.100 da 26 nazioni rappresentate. Buona la presenza di cuochi statunitensi (oltre 200), francesi (una cinquantina). Ma in media i cuochi sono circa una trentina per nazione. “Intanto è bello rivedersi dopo questi due anni di fermo imposto dalla pandemia – dice Giacomo Miola, vice presidente di Slow Food Italia – Era giusto fare un po’ il punto della situazione. Questa alleanza è ancora un cantiere aperto ed è giusto parlarne, confrontarsi, ricevere dei suggerimenti. E Slow Wine Fair è il posto ideale per farlo”.
Un obiettivo dell’alleanza però è chiaro: “Il nostro desiderio è quello di rinnovare il mondo della ristorazione – dice Miola – Non c’è dubbio che l’approccio della gente è ormai diverso. I clienti sono sempre più consapevoli di quello che mangiano. E andare nei ristoranti ormai non è solo “vado a mangiare”, ma è vivere un’esperienza. Senza contare che il settore, in questo particolare momento storico, sta vivendo una mancanza di personale senza precedenti. Ecco l’alleanza dei cuochi è la risposta a tutti i dubbi, le perplessità e le difficoltà che ci possono essere”. La cucina di questi locali è super-etica, con una selezione maniacale delle materie prime. “Non si parla di “km 0”, ma di “cm 0″ – dice Miola – I cuochi sono parte della comunità in cui hanno residenza. E quindi giusto ed ovvio che propongano nella loro cucina i piatti fatti con le materie prime che si trovano dal loro, nel pieno rispetto della natura”. E quindi orti biologici, formaggi a latte crudo, salumi selezionatissimi, carne provenienti da allevamenti non intensivi, e così via. Non manca l’occasione di parlare della grave crisi Russia-Ucraina. “Un cuoco di Kiev aderente all’Alleanza è salito alla ribalta della cronaca per aver mantenuto il suo locale aperto durante la guerra – dice Miola – È rimasto per cucinare per i soldati e per gli sfollati. E ha chiesto ai suoi colleghi di inserire nel loro menu un piatto tipico di quella parte del paese, il Borsch, una zuppa che viene consumata anche in parte della Russia. Un piatto che unisce e non divide”. In Italia sono già 40 gli chef che hanno aderito all’iniziativa del collega ucraino. Entrare a far parte dell’alleanza dei cuochi non è semplice: “Il regolamento è molto rigoroso – spiega Miola – Il protagonista deve essere il territorio, anche nella selezione delle materie prime, vino compreso. Se stiamo pensando ad una guida sull’alleanza? Per adesso no, ma in futuro chissà”.