Mercoledì 24 gennaio è la Giornata internazionale dell’Educazione, voluta dall’Onu nel 2018 per sottolinearne il ruolo essenziale nel raggiungimento della pace. Ricordare che è un diritto sembra scontato, ma purtroppo non lo è. Le crisi politiche, umanitarie ed economiche (a cominciare dall’inflazione e dallo sfruttamento del lavoro, per arrivare agli investimenti insensati nelle armi) che stanno attanagliando la nostra società costringono a mettere in secondo piano gli investimenti pubblici in educazione e l’adozione di azioni concrete che creino ambienti di apprendimento solidali e inclusivi per tutte le studentesse e gli studenti. La situazione italiana non è disastrosa, ma non degna di una democrazia occidentale che punta sui giovani e l’incremento delle nascite: abbandono scolastico, scuole fatiscenti, dotazioni tecnologiche inadeguate, mancanza di mense in molte scuole, classi sovraffollate, programmi di studio obsoleti. C’è la necessità di capire come i sistemi educativi possano adattarsi e rispondere al meglio a una società in rapida evoluzione. Temi come l’educazione ambientale, civica, alimentare e del gusto (per la quale Slow Food si batte da decenni) diventano centrali per alimentare il senso critico dei più giovani ed essere promotori di quella crescita sociale di cui si ha tanto bisogno.
“C’è un tragico legame tra povertà educativa e povertà alimentare: ambedue indicano scarsità, sia quantitativa che qualitativa”, evidenzia Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. Per povertà alimentare si intende l’inaccessibilità ad alimenti sicuri, nutrienti e in quantità adeguata a garantire una vita di benessere. Nei Paesi sviluppati le problematiche di tipo alimentare sono connesse prima di tutto alle condizioni socioeconomiche ma anche al corretto utilizzo degli alimenti, inclusa la capacità di scegliere e di trasformare, l’accesso alle informazioni, una consapevolezza culturale e identitaria che permette di individuare il portato valoriale del cibo e dunque discernere quale sia il più adeguato per noi sotto tutti i profili.
Cibo non soltanto nutrimento quindi, ma fatto sociale: riscoprirne il valore, in classe e a casa
“A scuola, per esempio, – prosegue Nappini – l’educazione alimentare è spesso ridotta a mere nozioni nutrizionistiche: al contrario servirebbe accogliere la complessità che il cibo può offrire e conseguentemente consentire agli studenti di spaziare dalla storia alla filologia, dalla poesia alla chimica, dall’antropologia alle scienze naturali, dalla filosofia alla fisica, ecc. E poi, anche, nelle famiglie, il luogo che prima di ogni altro è deputato all’educazione: parlare del cibo che si porta in tavola, delle scelte di acquisto e di consumo fatte e del loro motivo, facendolo con costanza, intelligenza, preparazione e anche con leggerezza. Slow Food è convinta che il cibo non sia soltanto nutrimento, ma che rappresenti un fatto sociale: come tale, dev’essere un luogo di incontro, dialogo, condivisione e arricchimento”. Quanto questo cambio di approccio sia urgente ce lo segnala il fatto che in Italia i disturbi alimentari sono un’emergenza sanitaria, che li vede al secondo posto tra le cause di morte tra gli adolescenti, dopo gli incidenti stradali. Tra i 12 e i 17 anni ad accusare disturbi dell’alimentazione sono 3,2 milioni, ma in sei anni sono raddoppiati i piccolissimi tra i 6 e i 12 anni che hanno problemi seri con il cibo. Un rapporto compulsivo e malsano, senza consapevolezza, senza conoscenza, slegato appunto dalla dimensione identitaria e anche affettiva.
“Al cibo, come all’educazione – conclude Nappini -, bisogna voler bene: da quarant’anni Slow Food tutela la biodiversità e promuove un cibo buono, pulito e giusto, diffondendo conoscenza e consapevolezza sull’alimentazione con un approccio sistemico. Nella Giornata internazionale dell’Educazione vogliamo ricordare che abbiamo tutti la responsabilità di dare alle nuove generazioni strumenti di autonomia, di critica, di visione ed elaborazione per disegnare un futuro migliore: il futuro di pace e bellezza che meritano”.