Oggi a Roma il consueto appuntamento di fine anno che Istituto Grandi Marchi dedica all’approfondimento della situazione fine wines sui mercati internazionali. Dopo le ricerche dedicate alla Germania, al mercato del Regno Unito dopo la Brexit e alla situazione globale nel post pandemia, sono stati Giappone e Corea del Sud i Paesi protagonisti del report 2023. L’Osservatorio, come sempre a cura di Nomisma Wine Monitor, si è posto l’obiettivo di mettere a confronto due dei più interessanti mercati del Far East per comprenderne, nella fascia dei fine wines, i comportamenti di acquisto e di consumo, la percezione, il ruolo che giocano la notorietà del brand e dei territori e, nel complesso, i trend che differenziano e accomunano questi due mercati.
“Continua la nostra collaborazione con Nomisma Wine Monitor – ha sottolineato Piero Mastroberardino, Presidente Igm – volta a indagare le dinamiche del segmento fine wines sui mercati internazionali. La scelta di Giappone e Corea del Sud non è casuale, visto che questi Paesi saranno teatro della nostra missione in calendario per il prossimo novembre. L’indagine ha rivelato un quadro più che promettente, dimostrando il crescente appeal che il vino italiano di qualità gode anche nel Far East. In quest’ottica noi di Istituto Grandi Marchi da sempre ci poniamo come ambasciatori dell’eccellenza enologica Made in Italy, con l’obiettivo di rendere accessibili a tutti i consumatori la tradizione, la territorialità e l’insieme dei valori etici che costituiscono il valore delle nostre etichette.”
L’indagine è stata sviluppata su un campione di 1.600 consumatori di vino, residenti in alcune delle grandi città giapponesi e coreane (Tokyo, Osaka, Seul e Busan) nel periodo ottobre-novembre 2023. La panoramica globale sui consumi del vino nel continente asiatico evidenzia la Corea del Sud come un mercato emergente, visto l’aumento del +168% nei consumi e del +200% nelle importazioni negli ultimi cinque anni. Per quanto concerne il Giappone si può parlare di un mercato consolidato visto il consumo, da anni pressoché stabile, di 3 milioni di ettolitri e un lieve calo nei numeri d’importazione (-3%) supportato però da un aumento medio del valore delle etichette del +47%. Le prime evidenze dell’Osservatorio riguardano i comportamenti di consumo: incidenza più alta in Giappone (il 45% della popolazione consuma abitualmente vino) con target prevalente degli over 50 (Gen X e Baby Boomers); poco più bassa in Corea del Sud (39%) dove la Gen Z incide più dei Baby Boomers (18% contro 16%). Il prezzo è il principale driver di acquisto, ma anche il territorio di provenienza, (per il 34% dei consumatori giapponesi) e il valore del brand (per il 19% dei coreani), fanno la differenza durante l’acquisto e costituiscono i principali parametri per identificare un vino di alta qualità.
Un altro dato rilevante emerso dall’indagine riguarda il ruolo dei ristoranti italiani da considerare come una delle principali leve di comunicazione e diffusione dei fine wines: infatti i consumatori di entrambi i Paesi considerano degustazioni e cooking show interessanti momenti di approfondimento, nonché una delle occasioni di consumo più ricercate. Riguardo al packaging, in entrambi i Paesi si fa particolare attenzione ai dettagli e ai richiami territoriali in etichetta e in Giappone emerge un grande apprezzamento per i tappi di sughero che non rappresentano invece una priorità per la Corea del Sud. Tracciato il quadro attuale delle percezioni e dei comportamenti dei consumatori dell’Estremo Oriente, l’ultima sezione dell’Osservatorio Nomisma ha riguardato le previsioni e le prospettive future che, tra l’altro, risultano positive per i fine wines italiani.
“Nonostante la leadership detenuta dalla Francia con il 58% delle importazioni di vini in Giappone e il 35% in Corea del Sud – ha evidenziato Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine Monitor – il 21% dei consumatori giapponesi prevede di aumentare- nei prossimi 3 anni – il consumo dei fine wines italiani (a fronte di un 7% che invece presume di ridurli). In Corea del Sud le prospettive sono ancora più rosee, con quasi un consumatore su due che pensa di aumentarne l’acquisto, contro un 17% di chi invece immagina di ridurli e un 9% che non cambierà abitudine”.