Con oltre 67 miliardi di euro – di cui 57 di prodotti food&beverage – raggiunti nel 2024, l’export agroalimentare italiano ha messo a segno un nuovo record. In uno scenario globale dominato dall’incertezza a sua volta generata da forti tensioni geopolitiche, le imprese alimentari italiane sono comunque riuscite ad aumentare il valore delle vendite oltre frontiera, portando a casa la crescita più alta – in termini percentuali – tra i top exporter del settore, vale a dire +8%. Solo la Spagna si è avvicinata con un +6%, mentre Germania e Cina hanno portato a casa un +4%, gli Stati Uniti un +2% mentre è praticamente rimasta la palo la Francia (+0,4%).
Ancora meglio hanno fatto i prodotti trasformati del food&beverage, il cui export è cresciuto a valore del 9,5%, con punte fino al 19% in Polonia. Restando nei primi 15 mercati di export del F&B italiano (il cui peso sul totale arriva al 74%), altre importanti dinamiche di crescita si sono registrate negli Stati Uniti (+18%), in Australia (+16%), Canada (+15%), Giappone (+12%), Spagna e Austria (+11%). Meno brillante la Germania, alle prese con una recessione che sta impattando sui consumi anche alimentari, in particolare di prodotti di importazione (+6%).
Considerando solamente l’aggregato dei comparti F&B a cui appartengono le imprese del Consorzio Italia del Gusto (dai vini imbottigliati alla pasta, dai prodotti da forno ai derivati del pomodoro, dall’olio d’oliva ai formaggi e così via), l’export italiano ha chiuso il 2024 con un +10,2% a valore, ricalcando sostanzialmente – in merito ai paesi di destinazione- quanto fatto dalla media del settore F&B descritto in precedenza.
All’interno di questo paniere, i primi 5 prodotti che hanno registrato le crescite più alte a valore nell’export sono stati l’olio d’oliva (+44% rispetto al 2023), le acque minerali (+30%), le spezie (+23%), aceti e conserve ittiche (entrambi +19%). Tornando invece a considerare l’intero Food&Beverage esportato dall’Italia, è importante evidenziare come i mercati esteri siano diventati sempre più importanti. Negli ultimi dieci anni, il valore dell’export è più che raddoppiato (+109%), toccando punte del +153% in Nord America. Oggi la principale area geoeconomica di sbocco per i prodotti del F&B italiano è rappresentata dall’Unione Europea che assorbe il 55% dell’intero valore delle nostre esportazioni. Al secondo posto si colloca il Nord America (16%), seguito a ruota dai paesi europei extra Ue (15%). Siamo invece ancora poco presenti in Asia (9%), quasi inesistenti in Africa, America Latina e Oceania (meno del 2% in ognuna di queste aree).
D’altronde, con un popolazione strutturalmente in calo e in progressivo invecchiamento, guardare ai mercati esteri diventa quasi obbligatorio per le imprese alimentari italiane. Se in più aggiungiamo l’eredità lasciata da due anni di inflazione “stile anni ‘80” e un clima di fiducia sul futuro da parte dei consumatori che fatica a risollevarsi, è più facile comprendere perché nel 2024 i consumi alimentari domestici (al netto delle bevande alcoliche) sono risultati ancora sotto del 3% (a valori costanti) rispetto al livello pre-Covid (2019).
Purtroppo, guardando ai mercati esteri si scopre che non sono tutte “rose e fiori”. Oggi a tener banco è la continua minaccia di dazi all’import da parte dell’amministrazione Trump negli Stati Uniti, vale a dire il nostro principale mercato di export – assieme alla Germania -di prodotti F&B italiani (entrambi con una quota a valore del 14%).
Guardando ai prodotti alimentari italiani che hanno negli Stati Uniti il principale mercato estero di sbocco, lo scenario è molto ampio e comprende numerose eccellenze del Made in Italy: dal 41% delle acque minerali, al 32% dell’olio d’oliva; dal 30% degli aceti al 26% dei liquori e 25% dei vini fermi e frizzanti imbottigliati. Meno esposta l’intera categoria dei formaggi (9%), anche se al proprio interno figurano denominazioni come il Pecorino Romano Dop che invece ricava dagli Stati Uniti il 57% dell’intero valore delle esportazioni.
Diventa quindi sempre più importante, nell’ottica dell’internazionalizzazione, attuare una maggior diversificazione dei mercati di sbocco. Oggi i primi 5 mercati esteri concentrano il 51% dell’export di F&B italiano. Anche per Francia, Germania e Spagna l’indice di concentrazione è simile (dal 45% della Germania fino al 50% della Spagna) ma a differenza nostra, nessuno di loro presenta un tasso di esposizione sugli Stati Uniti analogo a quello dell’Italia (appena il 3% per la Germania, 6% per la Spagna, 9% per la Francia). Guardando quindi ai paesi che negli ultimi dieci anni sono cresciuti di più e che oggi importano prodotti F&B dall’Italia per almeno 150 milioni di euro figurano, all’interno dell’Unione Europea, gli Stati dell’est come la Romania (+298%), la Polonia (+277%) e la Bulgaria (+250%), mentre al di fuori del mercato comune emergono le Filippine (+259%), la Corea del Sud (+233%) e il Messico (+208%).