Il presidente di Unione Italiana Vini commenta con la nostra redazione i dati comunicati oggi sull’export del vino italiano nel primo trimestre
di Giorgio Vaiana
“Sono fiducioso e ottimista. Il vino italiano, dopo questa emergenza, ne uscirà ancora più forte”. A parlare è Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini che, insieme alla nostra redazione commenta i numeri di Uiv sull’export del vino italiano che ha segnato numeri importanti e positivi nel primo trimestre. “Ma badate bene – dice Abbona – In questo momento è estremamente difficile rappresentare questa situazione e questo perché il vino italiano, oltre al problema del coronavirus, ha dovuto affrontare due problematiche importanti, come la questione dazi negli Stati Uniti e la Brexit”. Per questo secondo Abbona i dati sono da leggere con estrema cautela. “Il Covid-19 ci ha fatto dimenticare di alcune questioni importanti per il vino italiano – dice il presidente – sia la questione dazi che la brexit, due questioni che hanno scombussolato un po’ il mercato del vino italiano visto che molti importatori hanno fatto tanti ordini”. E allora leggiamoli questi dati. Nel primo trimestre l’export italiano di vino è progredito sia in volume (+6%, a 5,1 milioni di ettolitri), sia in valore (+5%, a 1,5 miliardi di euro). Una performance che in linea generale potremmo definire positiva, ma che deve essere inquadrata in un contesto di forte fibrillazione, caratterizzato da eventi – Covid-19 – e circostanze – tariffe americane – che hanno inciso e incideranno in maniera molto forte sulla regolarità delle nostre spedizioni. Per fare alcuni esempi, negli Stati Uniti la prospettiva di nuove tariffe sui vini europei ha spinto gli operatori a incrementare fortemente a inizio anno gli acquisti di vini di fascia alta, in particolare vini Dop piemontesi (+8%), toscani (+20%) e veneti (+16%). A fronte di questi movimenti, il saldo generale dell’import americano nel primo trimestre vede +10% a valore, ma segno meno sui volumi (-3%), a dimostrazione del fatto che nel prosieguo del trimestre l’impellenza si è via via sgonfiata.
“La situazione dei vini italiani non è così drammatica come qualcuno vorrebbe dipingerla – dice Abbona – Ricordiamoci che il canale Horeca è praticamente fermo in qusi tutto il mondo, ma sia noi produttori che i clienti hanno voglia di riprendersi in mano la loro vita e quindi sono fiducioso”. “Certo – dice Abbona – sarebbe da irresponsabili non rispettare gli obblighi imposti dal decreto del presidente del consiglio dei ministri per la questione sicurezza, ma, e parlo per esperienza personale, sulle Langhe, c’è un lento ritorno alla normalità, con l’arrivo dei turisti e quindi la ripresa delle prenotazioni negli alberghi”. Il Covid-19, però, ha inciso fortemente nell’export dei Paesi che per primi hanno sperimentato l’epidemia: quindi Cina, Corea del Sud e Giappone, tutti con variazioni negative importanti, come peraltro già successo per altri supplier, come Francia, Australia, Cile e Spagna. L’Italia segue questo andazzo: in Cina, -44% sui volumi dei vini fermi e frizzanti confezionati, associato a -40% sul fronte valori. Dinamica fortemente negativa in Corea del Sud (-19%), ma soprattutto in Giappone, che chiude il primo quarto a -8%, e la cosa è ben più preoccupante visto che Tokyo sta nella top 10 delle destinazioni italiane.
“Sono moderatamente ottimista – prosegue Abbona – I colleghi che hanno lavorato nel canale Gdo hanno lavorato bene e stano facendo bene. Pian piano rientreranno anche coloro che lavorano con l’Horeca. Ma lasciatemi dire una cosa. Questa fase ci insegna una cosa importante. E’ ovvio che le aziende prettamente dedicate all’horeca in questo momento siano quelle più in crisi, ma un’azienda che non è in grado di superare almeno tre mesi di emergenza è inevitable che mostri delle debolezze”. Gennaio e febbraio 2020 sono i mesi che hanno determinato questi aumenti di volumi e fatturati dell’export del vino italiano. A marzo è iniziato il dramma. “Credo che il prossimo trimestre saranno numeri stabili o di leggera flessione – dice Abbona – In ogni caso questo periodo lascerà in dote un grande vantaggio a chi produce vini di gande qualità. Le misure di soccorso proposte, come la distillazione o la vendemmia verde, infatti, servono a togliere di mezzo dal mercato il vino pessimo. Chi produce grandi vini non ricorre di certo a questi escamotage. Chi ha saputo lavorare bene, adesso raccoglierà gli sforzi e i sacrifici fatto. I contributi? Il mondo del vino italiano è di chi ha saputo crearsi un nome senza un contributo. L’unico valido è l’Ocm, che però “costringe” il produttore a mettersi in gioco con una somma pari al contributo. Credo che sia una misura equa”.
Sul segmento florido degli spumanti, le crepe incominciano a essere più che evidenti anche a occhio nudo: la performance volumica di +19% (poco meno di 1 milione di ettolitri) va comparata con il magrissimo +3% lato valore, con prezzi medi in calo del 14%. Se il Prosecco fa +12%, lo deve agli Usa (+17%) e al lavoro fatto sulle piazze secondarie (Francia, Canada, Nord Europa), mentre Londra va indietro del 6%, e questo dovrebbe accelerare le dinamiche in atto di emancipazione parziale da questo mercato. Crescono a dismisura gli spumanti generici, tutti prodotti da smaltire della vendemmia 2018, dirottati soprattutto sul mercato tedesco, che ha visto gli acquisti decuplicare rispetto al marzo del 2019.
Oggi il settore sta incominciando a vendere il prodotto della vendemmia 2019: 47,5 milioni di ettolitri, in calo del 13% rispetto all’enormità del 2018, ma in media perfetta sugli ultimi dieci anni. Quindi, stiamo parlando di una vendemmia normale, il che spiega la difficoltà della produzione a far passare aumenti generalizzati dei listini: al di là dei casi Germania, lo sfuso viaggia sulle stesse quotazioni del 2019. Quindi, il prodotto da vendere non manca, e lo dicono anche i dati di Cantina Italia: ai primi di giugno, il sistema dava 48 milioni di ettolitri, il che vuol dire che – riportando indietro di un mese le dichiarazioni – questa è la situazione di maggio, con in più un rallentamento evidente del fabbisogno medio, sceso da 3,3 milioni di marzo e aprile a 2,7 di maggio, quando insomma si incominciano a vedere gli effetti del lockdown sull’horeca. Questo non esclude che – andando avanti di questo passo, senza peggioramenti ulteriori – al 31 luglio si possa arrivare a chiudere la campagna con un saldo di 43 milioni di ettolitri, 5 in più del 2019.