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Scenari

Ecco perché l’Erbamat non è più una sorpresa in Franciacorta (e non solo)

22 Luglio 2020
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di Federico Latteri

Si chiama Erbamat ed è il vitigno autoctono del Bresciano che è stato inserito tra le varietà autorizzate per la produzione del Franciacorta con il nuovo disciplinare entrato in vigore dal primo agosto 2017.

E’ consentito l’utilizzo facoltativo di una piccola quota, un 10 per cento al massimo, nelle tipologie Franciacorta e Franciacorta Rosè. La scelta del Consorzio di portare avanti il progetto Erbamat si fonda principalmente su due motivi. Il primo è quello di dare un’identità ancora più forte al Franciacorta, cosa molto importante per differenziare maggiormente il prodotto in un mercato nel quale l’offerta cresce con la presenza costante di novità. In questo caso l’impiego di una varietà autoctona costituisce uno strumento ideale. Poi c’è l’esigenza di gestire le conseguenze del cambiamento climatico con l’aumento della temperatura che negli ultimi anni ha comportato una riduzione della durata del ciclo vegetativo e un abbassamento delle disponibilità idriche con ripercussioni sulla maturazione delle uve e quindi sulle loro caratteristiche organolettiche. Ciò vale soprattutto per i vitigni a maturazione precoce come lo Chardonnay e i Pinot nei quali si rischia un crollo dell’acidità.

(Erbamat)

L’Erbamat, il cui nome deriva dalla colorazione verde erba della buccia, rappresenta un’ottima soluzione per mitigare questi effetti poiché ha un profilo aromatico neutro, un ciclo vegetativo medio-lungo con la vendemmia che può arrivare ad inizio ottobre e tenori di acidità molto alti. Apporterà freschezza alle basi spumante senza stravolgerne le caratteristiche aromatiche. Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta, racconta: ”C’era già uno studio dell’Ente Vini Bresciani fatto negli anni ’80 insieme al professor Scienza. Lo scopo era quello di capire cosa si trovava nelle vecchie vigne a pergola sparse sul territorio. Ne venne fuori una pubblicazione dal titolo “Vecchi vitigni bresciani” nella quale venivano descritte 18 varietà tra cui c’era l’Erbamat. Quest’ultima sembrò subito perfetta da utilizzare in assemblaggio poichè apportava acidità e finezza. L’inserimento nel disciplinare è il risultato di un percorso di studi iniziato dal Consorzio nel 2010 in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano”. Le ricerche oggi riguardano prevalentemente il campo agronomico, inoltre sono state fatte diverse microvinificazioni e degustazioni comparative. Attualmente le aziende che hanno piantato Erbamat sono una decina con circa 10 ettari complessivi di superficie vitata. Si tratta di una fase iniziale nella quale c’è una disponibilità limitata di piante.

“Abbiamo piantato qualche filare sulla sommità della collina per vedere come si comporta questo vitigno nel nostro luogo. Si è riscontrata una variabilità che crediamo sia dovuta al fatto che utilizziamo una selezione massale. Penso che l’individuazione di particolari cloni costituirà una svolta in futuro”, spiega il vice presidente del Consorzio e titolare dell’azienda Cavalleri Francesco Franzini, che precisa: “L’Erbamat è estremamente interessante, ma anche delicata e severa. A differenza dello Chardonnay non si adatta a tutte le situazioni, ma richiede terreni magri e aree soleggiate per poter raggiungere la maturazione ottimale ed evitare il rischio di crescita di botrite, evento che si verifica frequentemente in zone non adeguate. La gestione agronomica difficile però non deve essere semplicemente considerata un limite, ma anche il più grande pregio di questo vitigno che non è indicato per una viticoltura economica. Capire bene dove piantarlo potrà costituire uno stimolo per migliorare anche la zonazione delle altre varietà del Franciacorta”.

(Mappa della Franciacorta)

Il Consorzio sta lavorando per mettere a punto un modello vocazionale che permetterà di comprendere a fondo le caratteristiche pedologiche e climatiche adatte alla coltivazione dell’Erbamat. Da qui potrà venir fuori una carta con le indicazioni sulle aree maggiormente vocate. Riscoprire un vitigno, capirne le caratteristiche e inserirlo nella filiera produttiva richiede un percorso lungo e laborioso. Marco Tonni, agronomo del gruppo Sata che con l’Università degli Studi di Milano segue il progetto Erbamat dalla sua nascita ci illustra alcune delle fasi salienti di un cammino ancora in pieno svolgimento: “Abbiamo iniziato con le raccolte di materiale vegetale virus esente, poi abbiamo allestito un campo di confronto clonale piantando le barbatelle. Alcune aziende hanno innestato con Erbamat. La selezione clonale ha bisogno di tempi lunghi che il Consorzio sta tentando di accorciare con grande impegno, anche se le ultime annate non sono state favorevoli, il 2017 a causa delle gelate e il 2019 per la riduzione della produzione dovuta probabilmente alla tendenza dei vigneti giovani di andare in alternanza. Quindi, a questo punto, possiamo dire di essere al secondo anno e ne occorreranno ancora 6-8 per avere risultati significativi. La legge prevede un periodo di 2 anni per fare la richiesta al Ministero di certificazione del clone, ma noi preferiamo aspettarne 3 o 4, poi ci vorranno altri 4 anni, se non 5 per avere un numero significativo di piante. Il materiale comunque c’è, si può prendere dal campo di confronto e moltiplicare, anche se non si può parlare di cloni perchè non certificati, ma di presunti tali. Uno step successivo è rappresentato dal breeding che permetterà di ampliare la biodiversità attraverso gli incroci. La Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige sta allestendo un vigneto di autoincroci di Erbamat su un terreno del Consorzio in Franciacorta. Gli esemplari più interessanti saranno selezionati, moltiplicati e poi si procederà con le microvinificazioni. Per questo lavoro però i tempi sono ancora più lunghi”.

Gli assaggi fatti fin ora con le basi e con i tagli cominciano a fornire alcuni elementi interessanti che Silvano Brescianini descrive: “Nei vari panel di assaggio c’è sempre la netta preferenza per i vini nei quali l’Erbamat è in blend sia con lo Chardonnay che con il Pinot Nero. Qui si registra il risultato migliore in termini di equilibrio e finezza. E’ abbastanza chiaro che anche una quota piccola come il 10 per cento apporta qualcosa in più riguardo a freschezza ed eleganza”. Il Satèn è l’unica tipologia in cui non verrà impiegata l’Erbamat perchè è un’espressione molto particolare della Franciacorta e si è preferito lasciarla così. Siamo solo all’inizio, ci potranno essere ulteriori sviluppi, ma non in tempi brevi. Per esempio, sarà interessante, come sostiene Francesco Franzini, conservare in vasca per un periodo lungo, almeno un anno e mezzo, la base ottenuta da Erbamat per cominciare a capire se può essere usata come vino di riserva. Ora aspettiamo sul mercato le prime bottiglie di Franciacorta in cui ci sarà l’Erbamat, ma su questo il presidente Brescianini è molto cauto: “Teoricamente potremmo vedere le prime bottiglie tra l’autunno e l’inizio del prossimo anno, anche se in realtà forse ci vorrà di più. Al momento non mi risulta che ci siano uscite programmate” “Siamo convinti che il progetto Erbamat sia molto interessante e che valga veramente la pena lavorarci con tutte le nostre energie. Questo è un pensiero ampiamente condiviso”.