di Lorella Di Giovanni
Esiste una correlazione tra il consumo della carne rossa, fresca e lavorata, e alcuni tipi di cancro: così l’organizzazione Mondiale della Sanità, lancia l’allarme cancro, chiamando ognuno di noi a interrogarsi sulle conseguenze che le nostre scelte alimentarie hanno sulla salute umana.
Si presenta infatti, dinanzi a noi, la possibilità di modificare il nostro stile di consumo sia nei principi che nelle pratiche, scegliendo un tipo di cibo piuttosto che un altro e valutando, rispetto ai nostri bisogni, la possibilità di fare altrimenti o, addirittura, di fare a meno.
Se poi alle preoccupazioni per la nostra salute legate al consumo di carni rosse, si aggiungono le attenzioni verso le problematiche socio-ambientali connesse alle pratiche della zootecnia intensiva (impatto ambientale, land grabbing, abbandono dell’attività agro-silvo-pastorale in aree di montagna) e le preoccupazioni per il benessere degli animali allevati (impiego di antibiotici, ormoni, antidepressivi, difficili condizioni di vita in ambienti ristretti, perdita di naturalità, pratiche di macellazione cruenta, ecc.), allora la riflessione su ciò che mangiamo si arricchisce di nuovi contenuti anche di tipo etico. In sintesiappare chiaro come il minor consumo di carne, faccia bene non soltanto alla nostra salute ma anche all'ambiente, agli animali e alla vita di intere comunità rurali.
Secondo questo paradigma, eminenti ricercatori, medici e alimentaristi identificano nella dieta mediterranea la “possibilità concreta” di coniugare una sana alimentazione al rispetto dell’ambiente e al sostegno delle piccole comunità locali. Definita così dal grande nutrizionista americano Ancel Keys e divenuta patrimonio Unesco, la dieta mediterranea è un modello alimentare fondato sulla frugalità (“mangio meno” Vs “mi nutro”) dei pasti a base di frutta e verdura di stagione (e meglio se a chilometro 0), pesce azzurro, cereali, legumi e olio extravergine di oliva e sulla progressiva riduzione del consumo delle proteine di origine animale. Un regime alimentare che, oltre ad essere a basso impatto ambientale, è anche economicamente e socialmente sostenibile.
Se oggi questa dieta può sembrare penitenziale, domani, – quando la nuova cultura alimentare e di comportamento sarà penetrata nei costumi di ciascuno di noi – potrebbe diventare un’opportunità per il nostro benessere, riconquistando la nozione di scelta e il valore della sobrietà e della responsabilità, e per quello dei territori in cui viviamo, delineando modelli di consumo più vicini al contesto rurale e identitario a cui apparteniamo.
In tal senso, l'allarme diffuso dall’Oms potrebbe diventare un'opportunità per la valorizzazione della nostra zootecnia di montagna e la salvaguardia degli ambienti e dei paesaggi ad alta naturalità delle aree più marginali della Sicilia.
In Sicilia la zootecnia di montagna, presente soprattutto sui Nebrodi e nelle Madonie, si caratterizza per la diffusione di sistemi estensivi di allevamento di tipo semi-brado: sistemi, questi ultimi, rispettosi del benessere degli animali, a basso impatto ambientale e funzionali alla conservazione della biodiversità.
Le carni nostrane, cioè provenienti da animali nati e/o allevati e macellati in Sicilia, sono molto apprezzate dagli intenditori, poiché offrono tagli selezionati e caratteristiche organolettiche distinguibili dalle carni importate già macellate. Inoltre, l'allevamento di razze autoctone migliora la qualità delle carni.
Il circuito commerciale delle carni bovine siciliane – connotandosi come un fenomeno di nicchia – è in gran parte ristretto alla “filiera corta”, alimentando prevalentemente le macellerie dei piccoli centri prossimi agli allevamenti e ai macelli da cui proviene la materia prima. Solo in misura minore il prodotto nostrano raggiunge i centri urbani più grandi, dove la Grande Distribuzione Organizzata e l’Horeca si riforniscono soprattutto dalle industrie che lavorano in prevalenza carni già macellate, acquistate direttamente all’Estero o nelle regioni del Nord Italia.
Oggi, in Sicilia, la produzione di carne nostrana dei vari tipi (in quantità) difficilmente può soddisfare la domanda regionale di carni rosse. Tuttavia, in una prospettiva di riduzione dei consumi e di cambiamento degli stili alimentari, questo comparto potrebbe, a pieno titolo, rispondere ai bisogni di quella fascia di consumatori sensibili alle questioni alimentari, ambientali e anche sociali.
Orientare i consumi verso le “carni nostrane” sembra dunque potersi conciliare con quanto indicato dall'Oms e affermato da Carlo Petrini e Giorgio Calabrese: mangiare meno carne e di “qualità” (per la salute umana, il benessere animale e la tutela dell'ambiente). La scelta di acquistare carne siciliana poi, rappresenta anche un valido contributo alla sopravvivenza delle comunità residenti nelle aree svantaggiate dell'Isola. In questi territori, a dispetto delle condizioni ambientali “marginali” e in una visione di valorizzazione integrata dell’offerta locale (prodotti tipici, turismo, paesaggio, ecc.), la zootecnia può ancora svolge un ruolo economico importante.