Negli Usa critici e guru del vino hanno fatto oramai il loro tempo.
Il consumatore segue più il parere dell’amico appassionato o esperto. Lo dice l’ultima ricerca, condotta da John Cillepsie, e presentata alla 22esima edizione del Wine Industry Financial Symposium che si è tenuta nei giorni scorsi in Napa Valley, per testare il grado di influenza degli “opinio leader del vino”. Dal sondaggio ne esce malissimo proprio Robert Parker, il fondatore di The Wine Advocate. Il guru del vino, colui che ha dettato e dirottato tendenze nel mondo della produzione conta meno di un sommelier per la maggior parte degli intervistati, 1151 appassionati di vino. La fonte più autorevole, con un punteggio di 6 su 10 nella scala di valutazione, è al contrario l’amico esperto di vino. E l’uso di Facebook, come veicolo dell'influenza, è risultato determinante. Foto di etichette, post che raccontano abbinamenti o visite alle cantine, diramate su questo social network da amici e conoscenti avrebbero un potere maggiore di qualsiasi altra recensione con punteggio firmata dagli esperti di vino.
Il bevitore americano considera poi preziosi i consigli dell’enotecaio o del personale dei wine shop (punteggio 5.3). E al terzo posto della classifica delle figure del vino più influenti, mette il sommelier al ristorante. Insomma, il “verbo” delle star della comunicazione del vino, e dei media del settore in generale, non conterebbe poi così tanto al momento della scelta d’acquisto di una bottiglia o al momento dell’ordinazione al tavolo.
Alcuni giornalisti e critici della stampa generalista, invece, starebbero guadagnando più crediti. Come Eric Asimov, columnist al The New York Times, che si è piazzato bene con una crescita del rating. Il cronista del giornale locale poi, secondo quanto espresso dal campione, eserciterebbe una discreta influenza.
C.d.G.