Se in periodo di crisi i tagli che fa un’azienda pesano sui budget destinati alla comunicazione, sul packaging invece aumentano gli investimenti.
Questa è la tendenza riscontrata nel settore vinicolo, con le proporzioni dovute tra grandi brand e piccoli produttori, da Simonetta Doni (nella foto) alla guida della Doni&Associati di Firenze, una delle più grosse agenzie di design specializzate nel packaging del vino. Per citare alcuni nomi del suo portfolio clienti, citiamo Antinori, Castello Banfi, Ca’ del Bosco, Marchesi Mazzei, Barone Ricasoli, Domenico Clerico.
“In questo momento di crisi abbiamo lavorato di più. Le aziende si sono rese conto che è una necessità investire nel packaging. Hanno capito che ha la stessa importanza di un trattore per la vigna, macchinario su cui investono. L’etichetta è l’immagine che va nel mondo, è un veicolo pubblicitario permanente, dura per anni. Diventa proprio il motore dell’azienda nella fasi di crisi economica. Se non si investe l’azienda muore, non diventa più competitiva. E’ in atto, ora come ora, una sfida al coltello. Gli scaffali di vino sono quelli più affollati. L’immagine del vino ha un valore superiore al contenuto della bottiglia, a parità di prezzo e di tipologia di prodotto”.
Sulla scena internazionale e in casa, la battaglia contro la concorrenza, secondo l’esperta, la si farebbe quindi a suon di etichetta. Questa leva di marketing è determinante soprattutto nell’acquisto a libero servizio in qualsiasi parte del mondo. Sarebbero i Paesi del vino emergenti a rappresentare l’avanguardia nel campo del label. Verrebbero da lì le etichette più originali e edefficaci alla luce del successo commerciale ottenuto. “Molto belle sono i pack proposti dalle cantine dell’Argentina, del Venezuela, del Sud Africa e dell’Australia. Sono molto interessanti, hanno una freschezza che non abbiamo – spiega la Doni – ma c’è un motivo. Noi italiani abbiamo una tradizione e una storia, abbiamo il peso degli anni che non possiamo nascondere che è però un valore, anche se in qualche modo ci limita. Loro possono invece osare, c’è una creatività di immagine che risulta poi molto efficace”.
Nella classifica dei più bravi a comunicare sulla bottiglia non compare quel Paese che produrrebbe i migliori vini del mondo: la Francia. “Se pensiamo alle etichette degli Chateaux sono tutte uguali, hanno particolari che non si ricordano, sono simili l’una dall’altra. per nulla efficaci. Però nel sud della Francia le cose sono diverse. Ci sono etichette molto più colorate, festose, si spendono cifre pazzesche sui materiali, sulle lavorazioni, per fare bottiglie speciali o addirittura per realizzare capsule particolari. Soprattutto questi investimenti vengono fatti sui vini Rosé. In quella fascia è forte il consumo nelle discoteche e wine bar e le bottiglie vengono vestite con una forte attrattiva per questa tipologia di target”.
Immagine antiquata e austera sarebbe quella che accomuna la maggior parte delle bottiglie di bollicine italiane, escluso i Prosecchi come precisa la Doni. “Sui Prosecchi il discorso cambia. Parliamo di un prodotto leggero, fresco e lo stile utilizzato nel packaging è frizzantino, in perfetta linea con il prodotto. Cosa che non succede con gli Spumanti. Li contraddistingue un aspetto austero quando invece è il vino per eccellenza della festa, dovrebbe essere vestito a festa, è il vino della convivialità. Su questa tipologia c’è ancora tanto da fare in termini di immagine”.
Differenze a parte, la tendenza seguita nel design a tutte le latitudini oggi sarebbe la stessa e applicherebbe principi di comunicazione ben precisi. “Si tende adesso ad usare il monocromatico, il rigore, una grafica pulita, immediata senza troppi orpelli. Un’etichetta che ha questi requisiti è un’etichetta funzionale. Ancora però non tutti comprendono la potenzialità di questo strumento. Quante volte mi capita di avere bevuto a tavola un vino consigliato di cui poi non ricordo l’etichetta, lo stile, qualche particolare grafico in modo da riconoscerlo quando lo vado poi a cercare in enoteca. Quel vino non lo ritroverò più”.
La nicchia dei vini naturali, biologici e biodinamici è un settore vergine che può dare spazio alla creatività e alla nascita di nuove tendenze, anche se attualmente la Doni lo bolla come “triste”. “C’è un modo di presentarsi, più o meno condiviso da tutti i produttori di questa categoria di vino, con etichette tristi. Invece, proprio perché vini naturali dovrebbero essere contenuti in bottiglie più vivaci, fresche, che veicolano messaggi positivi”.
Se da un lato è con il packaging che quindi si conquista adesso il consumatore dall’altro è un campo minato dove è facile incappare in reati di plagio, spesso inconsapevoli. “Succede ovunque e non di rado – denuncia la Doni -. Purtroppo accade perché oggi si utilizzano le stesse banche dati di immagini e si prendono a riferimento modelli simili. Il caso di plagio voluto avviene ai danni non dei vini costosi o pregiati ma di quelli più conosciuti, che fanno grandi numeri, che rappresentano un successo su scala globale”.
L’etichetta esercita lil suo fascino nelle gallerie dei musei. Come sta avvenendo in Cina a Kaohsiung al Museum of Fine Arts, dove sono esposte le etichette realizzate dalla Doni&Associati e che sta conquistando gli appassionati del genere da ben quattro mesi, da quando ha inaugurato.
M.L.