L'ex presidente scrive una lettera: “Il patteggiamento non significa ammettere una colpa che, ribadisco non ho commesso. Ma non intendo essere oggetto di illazioni e strumentalizzazioni”
Dopo la notizia che aveva sconvolto tutta la zona (leggi qui), in cui aveva patteggiato 4 mesi di reclusione per tentata frode, Orlando Pecchenino si dimette dal ruolo di presidente del consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.
Lo fa attraverso una lettera che invia ai soci del consorzio: “Come avrete avuto modo di apprendere si è recentemente conclusa la vicenda giudiziale che mi ha visto coinvolto a seguito della denuncia di un produttore e che ha comportato per me e per mio fratello, contitolare dell’azienda, grande turbamento e pregiudizio, sia sotto il profilo morale e umano che sotto quello economico. Lla conclusione cui si è pervenuti, e cioè la scelta di concludere con un patteggiamento della pena condizionato al dissequestro e restituzione del prodotto (circa 500 ettolitri di Nebbiolo da Barolo annate 2013 2014 e 2015 con menzioni Bussia e Le Coste di Monforte in botti per l’invecchiamento, collocato nella cantina di Monforte d’Alba, e in parte pronto per essere imbottigliato) è stata dettata dall’imprescindibile esigenza di salvaguardare l’azienda e la nostra attività, quell’azienda che con impegno e grande dedizione abbiamo creato e accresciuto e che costituisce la nostra vita. I tempi della giustizia non avrebbero garantito quel risultato. Solo ed esclusivamente per questa ragione ho rinunciato, in parte, a difendermi, perché, come ho sempre sostenuto, e qui ribadisco fermamente, non sono responsabile dei fatti di cui sono stato accusato. Il patteggiamento non è un’ammissione di colpa, né una sentenza di condanna: nel mio caso è stata una necessità per avere la disponibilità del vino, altrimenti bloccato dal lungo procedimento giudiziario che come tutti sappiamo, in Italia, avrebbe potuto durare anni. Ciò avrebbe compromesso irrimediabilmente il Nebbiolo atto a Barolo con menzioni Bussia e Le Coste di Monforte conservato nelle botti nella mia cantina di Monforte d’Alba. D’altro canto il dissequestro del prodotto, in parte mantenuto con la denominazione Barolo, altro non rappresenta che la prova della infondatezza dell’accusa. Questa mia scelta, dolorosa sotto l’aspetto umano e gravosa sotto quello imprenditoriale, non deve però, nel modo più assoluto essere oggetto di illazioni e strumentalizzazioni atte ad infangare la reputazione e a condizionare le attività del Consorzio di Tutela da me presieduto e, perché ciò non accada, rassegno sin da ora irrevocabilmente le dimissioni dalla carica di Presidente”.
C.d.G.