Da New York Paola Camillo
Frizzanti e aromatici, ecco i vini preferiti dagli americani.
Moscato e Prosecco sono gli taliani al top della tavola -e soprattutto del banco da bar- Usa, secondo l'ultima ricerca Nielsen commissionata dal Wine Market Council. Il consumatore americano dedica il 26% dei suoi acquisti al vino straniero e di questa fetta il 6,4% è italiano. Una buona provvigione, seconda solo al 9% rappresentato dall'import dei vini australiani.
Un de-javu degli anni '80? si chiede ironicamente Wine Spectator che, nell'ultimo e cliccatissimo articolo sul futuro del vino, sottolinea il successo di Prosecco, Moscato e Lambrusco in terra americana.
Si, i dati sembrano confermarlo: dal 2007 al 2012 il consumo di Moscato è cresciuto del 65 per cento mentre quello del prosecco del 35,4%.
La competizione resta comunque altissima per l'Italia. Nella piazza Usa bisogna tener d'occhio non solo paesi come l'Australia e la Francia ma anche Nuova Zelanda e Argentina che, con un passo sempre più lungo, hanno la maggiore percentuale di crescita sul mercato a stelle e strisce.
Nonostante ciò sempre più produttori italiani, con la crisi che morde, provano a fare il salto d'oltreoceano.
Approdare sul mercato americano significa riprogrammarsi su logiche commerciali profondamente diverse, adattarsi al Three-Tier, il famoso sistema americano di distribuzione che impone tre passaggi di vendita prima che vini e liquori arrivino nelle mani del consumatore: il produttore deve necessariamente affidarsi a un importatore che si occuperà di trattare con il distributore e questi, a sua volta, con il venditore al dettaglio.
“In questo modo il prezzo di una bottiglia ha un ricarico del 400%, e diventa ancora più difficile da vendere” spiega Alessandro Boga, account manager della Colangelo & Partners Public Relations, società di comunicazione newyorchese che ha traghettato sul mercato Usa vini di fascia medio alta come il Sagrantino di Arnaldo Caprai o il Brunello di Marchesi de'Frescobaldi.
“New York, in particolare, è un mercato molto ‘democratico’; una città dove il consumatore è più aperto nel bere e pronto a sperimentare. Un coltello a doppia lama perché ci si confronta con un grande varietà di vini”, prosegue. “Per iniziare bisogna scegliere un buon importatore e, in base alla propria forza commerciale, concentrarsi sui mercati dove investire. Los Angeles, San Francisco, Miami, Boston, Dallas e Chicago sono città fondamentali, quelle dove si consuma più vino in America dopo New York. E' ovviamente importantissimo comunicare il prodotto a più livelli. Bisogna educare i consumers ma ancor prima figure chiave come i wine director, i buyer e gli stessi importatori. In questo caso un ruolo molto importante lo riveste il Wine Ambassador, una persona di fiducia dell’azienda, scelta per controllare e supportare tutta la rete di vendita in loco e rendere più familiare il prodotto”.
Un'operazione lunga, precisa e capillare. “Il Prosecco aveva tutte le caratteristiche per sfondare in Usa -ricorda Gino Colangelo, decano della comunicazione enogastronomica a New York, che ha contribuito al lancio della Mionetto negli anni 2000- Il suo gusto fruttato, aromatico e non troppo complesso, le bollicine morbide e un basso gradazione alcolica, ideale per il consumatore medio che beve alcool lontano dai pasti, potevano soddisfare perfettamente il palato americano. Fino a dieci anni fa pero' nessuno sapeva della sua esistenza e ancor meno la differenza con lo champagne. Bisognava costruire la categoria Prosecco e ci abbiamo lavorato a lungo. È iniziato tutto con 'Ecco Prosecco!', lo slogan con cui abbiamo introdotto nel mercato uno dei vini italiani più bevuti negli Usa”.