E’ Colomba Bianca, tra i più grandi produttori di vini biologici in Italia, ad aver avviato un persorso di studio per affrontare nuove criticità legate alle tecniche agronomiche per l’adattameto ai mutamenti climatici. A fare un’analisi approfondita sull’impatto climatico in vigna è Luca Mercalli, presidente Società Meteorologica Italiana e giornalista scientifico.
“Entro il 2100 – dice Mercalli- è previsto un aumento della temperatura da 2 a 5 °C: calendario fenologico anticipato, quote più elevate per la produzione e più varietà dei raccolti” Continua: “I modelli vitivinicoli classici subiranno forti stress, selezione genetica cruciale per recuperare resilienza con cultivar più resistenti alla siccità. Servono infrastrutture irrigue ad elevata efficienza. E poi, flessibilità e lungimiranza”.
La geografia delle produzioni vitivinicole si modifica al passo del “Climate change”, che si ripercuote, soprattutto in Sicilia, sulle tecniche agronomiche. Con l’obiettivo di preservare la stabilità produttiva della filiera, Colomba Bianca – tra i più grandi produttori di vini biologici in Italia, con 6.200 ettari di vigneti – ha messo a punto dall’anno scorso un Osservatorio sull’uva, aperto a istituzioni e cantine dell’Isola, per monitorare i trend climatici e condividere know-how, coinvolgendo professionisti sul tema a livello nazionale.
VITECOLOGIA, NUOVI MODELLI IN VIGNA
«Stiamo cercando di andare verso un modello di agricoltura sostenibile – commenta Mattia Filippi di Uvasapiens, consulente enologo di Colomba Bianca – attraverso l’aumento della biodiversità e di sostanze organiche dei suoli: modelli agricoli complessi che prevedono coltivazione di boschi e di contesti ecologici più ampi. L’ho battezzata “Vitecologia” ed è l’unione tra gli orizzonti della nuova viticoltura e l’andamento ecologico, per contrastare fenomeni derivanti dai disallineamenti climatici: desertificazione, siccità, instabilità chimica e fisica del suolo». A fare un’analisi approfondita sull’impatto climatico in vigna è Luca Mercalli – presidente Società Meteorologica Italiana e giornalista scientifico – interpellato proprio da Colomba Bianca, l’esperto spiega: «Il clima mediterraneo della Sicilia genera condizioni favorevoli alla viticoltura, che tuttavia negli ultimi decenni stanno cambiando sotto la pressione del riscaldamento globale. La lunga serie storica dell’Osservatorio Vaiana di Palermo mostra nel periodo 1974-2022 un aumento della temperatura media di 2.5 °C. Inoltre, la vicinanza della Sicilia alla costa settentrionale africana rende più frequenti le incursioni del rovente anticiclone sahariano che l’11 agosto 2021 ha fatto registrare nella stazione del SIAS di Floridia (Siracusa), 48,8 °C: valore record di caldo per l’Italia e l’Europa».
RESILIENZA CLIMATICA E STRESS DA SICCITÀ
Cosa vuol dire questo per le nostre colture? «La vite ha una buona resilienza climatica – continua Mercalli – e si adatta a un intervallo ampio di condizioni termopluviometriche, ma va comunque in stress se le temperature crescono oltremodo e se mancano precipitazioni per periodi prolungati. Oltre i 35 °C l’attività vegetativa è compromessa e in casi estremi la pianta può subire danni permanenti, con bruciature sui grappoli e sull’apparato fogliare e conseguente aumento di attacchi fungini. I tratti principali della crisi climatica in atto sono riassunti nel Sesto rapporto di sintesi dell’IPCC (marzo 2023): il Mediterraneo è definito “hotspot” climatico, un’area del pianeta che subisce un aumento delle temperature più rapido rispetto alla media globale. In linea generale, la temperatura media annua sulla regione mediterranea è destinata ad aumentare (da 2 a 5 °C entro il 2100, a seconda delle opzioni di decarbonizzazione) e con essa ondate di calore, siccità, incendi forestali, alluvioni, nonché innalzamento del livello del mare (da 40 cm a 1 m a fine secolo), con danni alle infrastrutture costiere. Gli inverni diventeranno più miti, con una riduzione nella frequenza delle ondate di freddo, mentre le estati diventeranno sempre più lunghe e calde, con valori estremi inediti. Il riscaldamento globale potrebbe dunque portare la Sicilia nei prossimi decenni a condizioni via via più simili ai paesi nord africani, dove la viticoltura, pur esistendo (in Marocco, Algeria, Tunisia), presenta produzioni medie nazionali che sono circa l’1% di quella italiana, a riprova dell’allontanamento di quei climi dalla fascia vocata del Mediterraneo centro-settentrionale.
SICILIA, SCENARIO 2031-2060
«Nel lavoro di Konstantinos Varotsos (Istituto di ricerche ambientali di Atene) e collaboratori (2020) – continua Mercalli – sono presentati scenari climatici 2031-2060 in Sicilia, Creta e Cipro: emergono netti aumenti di temperatura ma modesti segnali sulle precipitazioni, senza variazioni apprezzabili delle quantità totali, ma con possibile incremento dei fenomeni estremi. Nell’ipotesi peggiore, con l’assenza di controllo delle emissioni in Sicilia, si avrebbero +2.1 °C in estate e +1.6/1.7 °C nelle altre stagioni. Ciò equivarrebbe a trasformare la temperatura media estiva di Catania, attualmente di 24,5 °C come quella rispettiva di Tunisi (26,5 °C). Il fatto che le precipitazioni medie annue non sembrino subire variazioni significative, fermo restando che già oggi in Sicilia si hanno (alle quote medio-basse) dai quattro agli otto mesi di aridità dei suoli, non significa che lo stress idrico non aumenti: infatti le temperature più elevate provocherebbero un incremento dell’evapotraspirazione, che nel lavoro “Future trends of reference evapotranspiration in Sicily based on CORDEX data and Machine Learning algorithms” (F. Di Nunno e F. Granata, Università di Cassino, 2023) vengono quantificati verso la fine del secolo attorno a +15-17%. All’aumento medio della temperatura farà seguito anche un incremento delle temperature estreme, che potrebbero oltrepassare frequentemente i 45 °C con picchi attorno a 50 °C, decisamente sfavorevoli alla vite. Cambieranno anche le somme termiche e le escursioni giorno-notte, con influenza sulla formazione di aromi e pigmenti e sul tasso zuccherino e di acidità degli acini. Con questi scenari è chiaro che gli areali vocati della vite potrebbero cambiare: da versanti molto esposti al soleggiamento si passerebbe a versanti più ombrosi e a quote più elevate, onde compensare l’aumento termico e sfruttare maggiormente l’umidità dei suoli. Secondo un recente studio dell’Università agricola di Atene – continua Mercalli – gli impatti del cambiamento climatico sulla viticoltura causeranno anticipi del calendario fenologico della vite, alterazioni della composizione chimica dell’uva e del vino, maggior variabilità dei raccolti, espansione colturale in areali geografici prima inadatti e significativi spostamenti degli areali tradizionali. Lo studio conclude che “con gli scenari più pessimistici, le regioni del Nord Europa potranno diventare adatte alla coltivazione della vite”, a discapito delle regioni meridionali europee, troppo calde per la produzione di uva».
CONTROMISURE DA ADOTTARE IN OTTICA PREVENTIVA
«Sul breve periodo – continua Mercalli – soprattutto su suoli che non dispongono di sufficiente riserva idrica delle precipitazioni invernali è opportuno pianificare infrastrutture irrigue ad elevata efficienza (invasi, impianti a goccia, monitoraggio locale e satellitare delle esigenze idriche), affrontando anche il tema di un’evoluzione dei disciplinari di produzione laddove l’irrigazione non sia oggi consentita. L’approccio della selezione genetica è cruciale per recuperare resilienza, con la ricerca di cultivar più resistenti alla siccità e ai calori estivi, tenendo conto che ciò richiederà cambiamenti nelle denominazioni tradizionali dei vini. Nelle zone montuose e collinari la scelta di altitudini maggiori ed esposizioni meno assolate può consentire di mantenere le prerogative delle aree tradizionalmente associate al vigneto. La rapidità dei cambiamenti in atto tenderà a mettere sotto pressione i territori con le loro filiere agrotecnologiche e richiederà flessibilità e lungimiranza nell’affrontare nuove condizioni. La viticoltura, basata su impianti di durata pluridecennale, non potrà reagire con tempestività come il settore delle colture erbacee annuali e necessita quindi di un maggiore sforzo di pianificazione associato anche a un maggiore rischio. Prepararsi per tempo e seguire l’evoluzione molto dinamica del clima è dunque fondamentale per non essere colti di sorpresa».
INFRASTRUTTURE PIÙ EFFICIENTI PER L’IRRIGAZIONE
Uno scenario preoccupante, che va attenzionato costantemente: «Colomba Bianca – conclude il presidente di Colomba Bianca Dino Taschetta – ha intrapreso questo percorso di studio, con l’obiettivo di offrire uno strumento di supporto per applicare le più appropriate tecniche agronomiche finalizzate alla stabilità produttiva dei nostri vigneti e creare percorsi qualificati per innalzare il livello qualitativo dei vini dell’Isola. Vogliamo farci portavoce dell’intero comparto in riferimento alla criticità da affrontare: la voce autorevole di Luca Mercalli non lascia ampi margini di manovra rispetto al fenomeno del climate change, che va affrontato con la giusta consapevolezza, partendo proprio dalle infrastrutture per l’irrigazione, fino a una più lungimirante politica del comparto agricolo».
Per ulteriori approfondimenti, riferimenti bibliografici e dati, lo studio integrale a cura di Luca Mercalli è disponibile sul sito www.colombabianca.com