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Scenari

Clamoroso sull’Etna, i bianchi quasi quanto i rossi. Nel 2023 record: 6 milioni di bottiglie Doc

05 Gennaio 2024
I numeri dell'imbottigliato sull'Etna I numeri dell'imbottigliato sull'Etna

Clamoroso sull’Etna. I bianchi riducono la distanza sui rossi. Oggi sono già oltre al 40 per cento e di questo passo tra un anno, al massimo due, eguaglieranno i vini a base di Nerello. Clamoroso perché tutto è avvenuto molto rapidamente. E non esiste altro territorio particolarmente simbolico e attraente come l’Etna che possa giocare dal punto di vista produttivo e commerciale su due tavoli. I bianchi in grande crescita. E i rossi ormai simbolo consolidato di piacevolezza. Il dato è confermato dai numeri. Il 2023 si chiude con un altro record produttivo. Al 27 dicembre scorso, quindi con un dato ancora parziale, si sfiorano i sei milioni di bottiglie di Etna Doc, quindi un più due-tre per cento circa rispetto al 2022. È il primo dato che tira fuori Maurizio Lunetta, il direttore del consorzio di tutela che raggruppa 220 soci, circa il 90 per cento di chi produce Etna Doc. Con lui facciamo una lunga chiacchierata parlando anche di altro e di altri territori.

Come è stato il 2023 per l’Etna Doc?
“È stato un anno di stabilità e di ripresa dopo gli annus horribilis della pandemia. Sono ripartiti i progetti e le idee. Il 2021 è stato balbettante, il 2022 interrogativo, il 2023 è stato il ritorno alla normalità, peronospora a parte”.

Ma non mancano le nubi sul mondo del vino: calo dei consumi, export in frenata, giacenze in crescita. Tutto a causa di guerre, inflazione, attacchi al vino…non c’è da avere paura?
“Paura mai. Si fanno più errori. Prudenza sì. Da un lato il 2023 è stato il ritorno alla normalità, dall’altro un anno di attesa. Cioè credo che dobbiamo essere tutti consapevoli che il vino non può essere sempre in crescita. C’è una frenata forte dappertutto. L’aumento dei costi di produzione, le guerre, il trend che si arresta…dobbiamo cominciare a pensare che la crescita non sia sempre costante. Tutto è discontinuo…”.

E l’Etna?
“È un’eccezione. L’Etna va in controtendenza in questo momento”.

Diamo qualche numero?
“Penso che alla fine supereremo i sei milioni nel 2023 con un aumento di circa il sei per cento. E stiamo registrando anche una grande crescita dei bianchi a dispetto dei rossi”.

Cosa succede con i bianchi dell’Etna?
“Sta colmando il gap quantitativo di imbottigliato. Per dirla con i numeri alcuni anni fa eravamo fermi a un 70 per cento di rossi e 30 di bianchi. Nel 2023 siamo a 55 e 45. Penso che tra un anno, al massimo due, saremo 50 e 50”.

Come ce lo spieghiamo?
“Il mercato cambia, oggi sono tutti più aperti sui bianchi. È un fenomeno che non riguarda solo l’Etna. I bianchi sono sempre più buoni, migliorano tecniche ed esperienze. E poi questa estate continua e gli inverni miti inducono a consumare sempre meno rossi. E i produttori si adeguano. Sta cambiando il consumo”.

Maurizio Lunetta Maurizio Lunetta

C’è il problema delle giacenze però?
“Il problema delle giacenze è un problema comune che riguarda soprattutto i rossi. In Italia, in Sicilia. E anche sull’Etna c’è un aumento delle giacenze. Sul vulcano siamo intorno al 10 per cento in più rispetto alla media degli altri anni. Ma vedo questo aumento delle giacenze anche come il tentativo dei produttori di vendere il vino con tempi più ritardati. La commercializzazione sta cambiando anche perché qualcuno è ormai consapevole della longevità dell’Etna. E si gioca questa carta”.

Ma un dieci per cento non è poco…
“I vini di primo prezzo soffrono di più”.

Segnali di paura?
“No. C’è stato un aumento dei listini causato dai costi di produzione. Anche per questo c’è la frenata”.

La previsione?
“La peronospora ha diminuito di molto la produzione 2023, siamo a un meno 30 per cento di media. Un anno con meno vino in cantina potrebbe non fare malissimo. E il calo potrebbe anche non vedersi perché tutto si livella con le annate 2022 e, speriamo, la 2024”.

Non abbiamo parlato del via libera all’iter per la Docg. È anche un successo del direttore…
“No, è un successo di tutti i soci e del territorio. Io ho solo messo a disposizione la mia esperienza e le mie competenze. È un risultato importante. Ma è un punto di partenza. Da tre anni i produttori fanno sperimentazioni con il Carricante, per dire. Segno di una volontà ben definita per chiedere le modifiche al disciplinare. Tra due mesi le carte finiranno alla Regione e poi da lì a Roma, al Comitato nazionale vini, a Bruxelles…si vedrà. Ci vorranno un paio di anni, salvo intoppi. Ma mi piace ricordare anche la proposta di portare da 133 a 155 le contrade e sarà possibile indicare in etichetta il nome di un comune se le uve provengono solo dal territorio di quel comune”.

Sono in tanti i piccoli produttori che non rivendicano Etna Doc. Si parla di un dieci per cento del vino prodotto sul vulcano.
“Non ho numeri precisi. Penso però che siamo al di sotto del dieci per cento”.

Qualcuno parla di una Igt che comprenda il territorio appena fuori dalla Doc. Cosa ne pensate?
“Non saprei. In ogni caso chiunque abbia quest’idea deve parlarne innanzitutto con il consorzio”.

Perché mancano manager nel mondo del vino soprattutto al Sud?
“Molti imprenditori pensano di bastare a se stessi. Non è così. I manager servono, eccome. Ma bisogna anche pagarli bene e fare in modo che le cantine siano attrattive. Tutto questo al Sud è un fatto raro”.

Qualcuno dice che la Sicilia del vino ha bisogno di più management, più formazione, più ricerca…
“È vero. Ma servono anche una serie di provvedimenti, forse un poco drastici, ma necessari. Per esempio non sono esagerati 98.000 ettari di vigneto in Sicilia? A patto che ci siano ancora, secondo me sono troppi. E bisogna rafforzare il sistema delle cantine sociali, vero tallone d’Achille e avere il coraggio di dire basta a vendemmie verdi, distillazioni…poi ci sono tante doc. Ma quante sono quelle che funzionano? Non c’è doc forte se non c’è un consorzio forte. Serve unificare le piccole doc e avere una governance forte. Gli esempi di Imt, l’Istituto Marchigiano di Tutela e del consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani sono vincenti. Gli altri che vogliono fare da soli non ce la faranno, non hanno economie di scala”.

Parliamo anche di un’altra Doc del Sud. Cosa sta accadendo a Cirò, in Calabria?
“Sono consulente del consorzio guidato con determinazione da Raffaele Librandi. È stato avviato l’iter per la Docg Cirò. Per me è un grande piacere collaborare con un territorio molto interessante, in un angolo della Calabria, lì dove enologicamente parlando, nasce tutto. Oggi parliamo di un territorio con 490 ettari vitati e quattro milioni e mezzo di bottiglie. La Docg riguarderà solo i vini Doc Cirò Classico, circa 1,8 milioni di bottiglie del totale, ovvero quelli provenienti esclusivamente dal territorio di Cirò e Cirò Marina, esclusi quindi quelli di Melissa e Crucoli. Riguarderà solo la tipologia rosso superiore, rosso riserva e rosso superiore riserva. È un salto in avanti per un territorio del vino che merita molta più attenzione”.

Poi c’è il lavoro sulla sostenibilità…
“Quello è un altro capitolo che riguarda la mia collaborazione con il dipartimento ricerca e sviluppo di Valoritalia. Stiamo galoppando con i progetti che portino alla sostenibilità non di un singolo vino o di una singola azienda ma di un intero territorio. Siamo già partiti con il Nobile di Montepulciano che ha ottenuto la prima certificazione”.

Cosa vuol dire in concreto?
“Che, per esempio, il sessanta per cento della superficie vitata risponde ai criteri di sostenibilità reali e misurabili. Il territorio acquisisce così valore ambientale, economico e sociale. C’è l’attenzione al fattore umano o all’impronta carbonica, tanto per fare altri due esempi. È una nuova frontiera che va conquistata. E qualcosa di simile la stiamo portando avanti in Sardegna con un gruppo di produttori di Cannonau, un progetto molto stimolante e innovativo”.

Torniamo sul vulcano. Quando sarà la prossima edizione di Etna Days?
“Dal 12 al 14 settembre 2024”.