di Emanuele Scarci
All’Ismea non sono d’accordo: durante il lockdown si sono scapicollati per dare una boccata d’ossigeno alle imprese agricole e dell’enoturismo finanziandole con lo strumento della cambiale agraria: 30 mila euro di prestito pubblico da restituire in 5 anni a tasso zero.
Alla chiusura del bando, a maggio, le domande hanno superato quota 500, ma quelle ammesse sono state poco più di 300. Sarà che si sono scapicollati, “ma noi non abbiamo visto ancora nulla – sbotta Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti – Né di cambiali agrarie né dei 25 mila euro. Il motivo? Hanno imposto regole inique: una delle più sbagliate è che le aziende devono essere in bonis al 31 dicembre. Ma in agricoltura non abbiamo una continuità di incassi. Se un produttore paga una rata in ritardo di un mese non può finire in Centrale rischi. E da lì scatta l’impossibilità di accedere al credito”. L’allarme di Busi arriva al culmine di una situazione insostenibile per le aziende per una Denominazione che nel 2019 ha venduto oltre 100 milioni di bottiglie.
“In questo momento il governo dovrebbe salvare le imprese e poi verificare se ne avesse i requisiti o meno – aggiunge – Se continua così senza alcun sostegno pubblico, finisce che nei prossimi mesi il 40% della Toscana sarà in vendita. Le aziende chiuderanno e si produrrà una catastrofe patrimoniale”. Dopo 3 mesi di lockdown, qual è la situazione del Chianti? “Siamo circa 2 mila ettolitri sopra la nostra media delle giacenze che è di 1,1 milioni di ettolitri – dettaglia Busi – Nell’ultima assemblea del Consorzio è passata, a larga maggioranza, il taglio delle rese del 20% nella prossima vendemmia. Calcoliamo che quest’anno il 70% delle vendite lo realizzeremo nella grande distribuzione e il 20% nell’Horeca. Quindi il surplus è del 10%. Lo annulleremo con il taglio delle rese e in più ridurremo la pressione sul magazzino”.
La situazione di forte rallentamento ha depresso i prezzi all’ingrosso del Chianti: sono scivolati dall’1,30 euro/litro del 2018 a 1,15 nel 2019 e dallo scorso gennaio il tonfo fino a 0,90. “E’ l’effetto della solitudine delle imprese – conclude Busi – I produttori premono sugli imbottigliatori e questi spingono sulla grande distribuzione per una promozione in più. A quel punto è inevitabile che i retailer ti chiedano un margine maggiore che però genera il crollo dei prezzi. Ci aggiunga che tra due mesi c’è la nuova vendemmia e allora bisogna fare spazio in cantina”.