Gianfranco Soldera, Francesca Sfondrini, Giuseppe Milazzo
Autunno è tempo di guide ma c’è chi da anni ne fa a meno.
Sono quei produttori che hanno deciso di non sottoporre i propri vini al sistema di giudizio che ogni anno stila pagelle e dà voti. Indaghiamo sui motivi di tale scelta. I “perché” li abbiamo chiesti a Gianfranco Soldera, che firma uno dei Brunello di Montalcino più pregiati mai prodotti e bottiglia ambitissima da tutti gli enoappassionati; a Francesca Sfondrini titolare di Massa Vecchia, produttrice dell’alta Maremma Toscana a Massa Marittima, in provincia di Grosseto, e autrice di una piccolissima produzione di vini naturali, quindicimila bottiglie; a Giuseppe Milazzo, il produttore di Campobello di Licata, in provincia di Agrigento, che per primo in Sicilia ha investito sul Metodo Classico e che ha vocato la sua tenuta di 70 ettari a vini di alta qualità.
Gianfranco Soldera non ha mai dato il vino alle guide: “Non voglio entrare nel mestiere di altri. Se mi chiedete perché non mando vino alle guide la risposta è sin troppo scontata, i giornalisti la conoscono già”. Il Brunello lo fa da 35 anni dedicandosi a una produzione di poche migliaia di bottiglie, in tutto 15mila, e la sua filosofia professa l'onestà nei confronti del mestiere e del consumatore. “Il vino è al 95% naso, non mi permetto di insegnare a un altro cosa sente all’olfatto. Poi, chi valuta i valutatori? Cioè coloro che degustano e danno punteggi ai vini?” E sul futuro delle guide è molto tranchant: “Il futuro dipende solo da quanti soldi hanno i produttori da investire in questo settore”. Poi aggiunge una parolina sulla crisi: “In Italia la recessione non è finita e la crisi durerà parecchio e buona parte del mondo del vino dovrà rivedere le voci di spesa e anche la commercializzazione, cioè i luoghi dove il vino viene venduto, io per esempio oggi vendo il 55% all’estero ma sono pronto ad arrivare all’85%”.
L’azienda di Francesca Sfondrini , che esiste dal 1985 e che conta solo 3 ettari e mezzo vocati a vigneto, non è presente nelle guide dalla fine deli anni ’90. “Ritengo che il vino vada degustato nelle aziende dove viene prodotto per dare votazioni così importanti – dice la Sfondrini -. Spedire un campione non ha senso. Non ci piace il fatto che il vino debba essere valutato, è una cosa priva di senso. Il gusto è troppo soggettivo per affidare un prodotto della terra a una valutazione di carattere numerico. Quando abbiamo deciso di non dare più i vini alle guide non siamo stati compresi. All’inizio, il mondo delle guide ha vissuto il nostro rifiuto come una sorta di sgarbo. In realtà non c’era niente di tutto questo e abbiamo tentato di spiegare che dietro il nostro gesto non c’era snobismo o pregiudizio. Ancora oggi non ci piace l’idea di far valutare il vino secondo un canone standard. E invece è un prodotto collegato strettamente alla terra e al luogo dove nasce”. Il non comparire sulle guide non ha rappresentato per la produttrice uno svantaggio. “Da quando non siamo più nelle guide non abbiamo avvertito differenze significative sulla nostra immagine e sul rapporto con i nostri clienti, ma d’altra parte facciamo appena 15 mila bottiglie”. Una guida che però non dà punteggi c’è ed è quella di Slow Food, sul modus operandi di Slow Wine però la produttrice manifesta qualche riserva. “Slow Food rispetto al vino ha un atteggiamento ambiguo, da un lato ha fatto un grandissimo lavoro di difesa e di promozione di prodotti tipici, dei contadini, dei protagonisti dei territori che esprimono cose buone, ma sul vino non ha fatto una scelta simile verso la tutela dei piccoli produttori, trattando questi ultimi allo stesso modo delle grandi aziende e questo non ci piace”.
“Non ho mai trovato un giudizio espresso da una guida rispondente alla realtà – dice Giuseppe Milazzo che produce 350 mila bottiglie -. E’ sempre stata una grande delusione. Quando cominciai a girare l’Italia, andavo per ristoranti, prendevo come riferimento le guide. E’ sempre stata una grande delusione. Raramente, e lo ripeto dieci volte, è successo il contrario. Ci sono molti ristoratori o enotecari che, affidandosi proprio alle guide, hanno fatto ordini per le loro cantine che non hanno poi potuto smaltire. Viene ingannato il pubblico, e il produttore che in questo modo si illude di avere un buon prodotto e non è portato a migliorarlo”. Per il produttore agrigentino il lavoro sulla qualità non si ferma mai e per farlo si affida ad altri feedback. “Uso mandare le nuove annate presso i clienti, gli importatori o presso le scuole e noi chiediamo pareri veritieri sul nostro prodotto, e lo facciamo prima dell’imbottigliamento”. A vino imbottigliato Milazzo si sottopone ad un solo sistema di giudizio: quello dei concorsi. “La guida è un torto che si fa al consumatore e al produttore. Smettiamola. Chi ha voglia di farsi valutare partecipi ai concorsi internazionali e anche la piccola menzione ricevuta può essere importantissima, più di qualsiasi altro giudizio”. Per Milazzo lo stare fuori dalle guide prima comportava qualche svantaggio per le aziende ma per lui, adesso, è un prodotto editoriale sulla via del tramonto. “Ci sono stati migliaia e migliaia di consumatori che sono andati dietro a questi “stregoni”, perché non si possono che definire tali, persone che pretendono di padroneggiare e di giudicare una materia così complessa. Sicuramente noi non abbiamo avuto la pubblcità per i vantaggi che può offrire la guida, però la condotta che ho portato avanti, se dovessi rinascere e rifare vino, la seguirei di nuovo. Oggi le guide sono meno seguite, nessuno ci crede più, la gente si sta rendendo conto e a proprie spese”.
C.d.G.