Champagne e fois gras, due simboli del lusso a tavola e del bien vivre alla francese, messi in ombra dal Covid.
La pandemia ha amplificato i problemi con la chiusura dei ristoranti all’inizio del 2020, che rappresenta un “rischio reale per i 100.000 posti di lavoro diretti e indiretti interessati” sottolinea il Cifog l’interprofessione dei comparti francesi foie gras, petto d’anatra e confit, che rappresenta l’insieme di professionisti allevatori, riproduttori, fornitori di mangimi, allevatori, macelli, trasformatori. Una spada di Damocle che torna ad affondare un settore che era stato capace di riconvertirsi, con investimenti anche in ottica di benessere animale, dopo l’influenza aviaria nel 2016 e nel 2017 e le critiche degli animalisti che portarono New York a vietare il consumo di foie gras nel 2019. Il comparto d’oltralpe rispose ricordando che il carattere ancestrale dell’alimentazione forzata, pratica nata sotto gli Egizi e perpetuata dai Romani.
Inoltre, di fronte anche alla concorrenza del foie gras, in particolare bulgaro e ungherese, è stato recentemente creato anche un “marchio Francia” che garantisce l’origine dei suoi prodotti e le sue pratiche di biosicurezza, con il supporto di 10.000 chef, con l’obiettivo di sviluppare l’export e recuperare il calo del 10% delle vendite di foie gras e petto d’anatra registrato in patria lo scorso anno, anche per nuove disposizioni che mirano a regolamentare le promozioni nei supermercati. Nel frattempo la vedono grigia anche le maison de Champagne che in questi giorni sono riuscite a raggiungere un accordo coi viticoltori per abbassare la resa delle uve a 8 mila chili per ettaro nella vendemmia 2020. L’istanza di controllo dell’offerta da parte delle maison si basa sul calo stimato delle vendite di champagne nel 2020, circa 100 milioni di bottiglie e sulla dimensione sproporzionata delle scorte, più di un miliardo di bottiglie ancora in giacenza.
C.d.G.