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Scenari

Castel del Monte e Nero di Troia, ecco la Puglia del vino che si è riscattata

10 Maggio 2015
Francesco_Liantonio Francesco_Liantonio

Il presidente del consorzio Liantonio: ma il percorso non è concluso. Più identità e più qualità per stupire ancora
 


(Francesco Liantonio)

Si può racchiudere la bellezza espressiva delle colline dell’alta Murgia in un calice di vino? Forse fino a qualche decennio fa o poco più si stentava a ritenerlo possibile. 

C’era il Nero di Troia, è vero. C’è sempre stato in realtà quel vitigno pugliese, il cui nome può essere collegato con la città daunia di Troia o alla leggenda dello sbarco sulle rive del fiume Ofanto dell’eroe greco Diomede. Ma quanto quel vitigno era capace di esprimere se stesso e la sua terra fino al punto da essere inconfondibile? Poco, probabilmente, soprattutto se finiva in gran parte altrove usato come vino da taglio. In più nel passato, in mancanza di specifiche capacità enologiche, il vitigno rendeva necessario l’uvaggio con altre varietà come il Montepulciano.
 


(Castel Del Monte del Nero di Troia)
 

Da regale vino di Puglia si nascondeva e, nascondendo se stesso, metteva in ombra la sua terra d’origine, i suoi profumi eleganti e floreali, con le note tipiche di viola e le sfumature speziate. Era così; mancava forse consapevolezza, voglia di riappropriarsi di un’identità unica e specifica. Ma c’è stato un momento alla fine degli anni Novanta, in cui qualcosa è cambiato: è nato il Consorzio di Tutela del vino Doc Castel del Monte, che prendendo come simbolo di riferimento il castello del XIII secolo di Federico II di Svevia, è diventato ambasciatore di un territorio, di un vitigno e di un nuovo modo di fare vino. Da quel momento in poi, il Nero di Troia, il terzo vitigno autoctono a bacca nera più diffuso della Puglia, con i suoi circa 2.500 ettari, ha iniziato un nuovo cammino. La nuova generazione di vignaioli produttori è composta da uomini che vogliono essere chiamati contadini, giovani e dinamici, decisi nell’affermare che la Puglia non è più un “serbatoio di vino”, come ha affermato lo Francesco Liantonio, presidente del consorzio di tutela, nel corso di un recente convegno.
 


(Giovani ambasciatori del Nero di Troia)

 

Oggi il Consorzio vanta circa 800 soci e il Nero di Troia è alla base dei vini rossi della denominazione con circa 1.900 ettari. La ricerca nei vigneti e l’innovazione enologica hanno permesso di mettere in rilievo l’eleganza della varietà e di ingentilirne la struttura. Ne sono sorte interpretazioni in purezza, versioni giovani in cui dominano i sentori floreali e che si prestano ad un gusto giovanile, e altre che hanno stupito nel mostrare la capacità del vitigno di dare il meglio di sé dopo un lungo invecchiamento. Ma tutto ciò oggi è solo un punto di partenza. Dall’anno di costituzione del Consorzio le cose sono cambiate rapidamente. Nel 2000 i soci erano 463, le bottiglie prodotte circa 2 milioni. Oggi si è giunti a tre milioni, e insieme alla quantità è aumentata la qualità del vino pugliese. A crescere però è stata soprattutto la consapevolezza dei vignaioli. Loro hanno creduto nel vitigno, hanno voluto conoscerlo meglio. E continuano a farlo, più solidali nel voler difendere e tutelare l’identità del loro vino e della sua terra d’elezione, nel centro nord della Puglia. 
 


(Etichette in degustazione)
 

Otto sono state le cantine che fanno parte del consorzio e che hanno aderito al progetto di valorizzazione grazie al quale si è svolta una settimana di eventi, convegni, focus, degustazioni e contest dedicati a giovani operatori del settore: Torrevento, Rivera, Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli, Cantina Tor de falchi, Cantina della Riforma Fondiaria Grifo, Cefalicchio, Santa Lucia, Vignuolo). Alcune più antiche hanno di certo spianato la strada al vitigno di oggi. E in particolare l'azienda Rivera che ha cominciato ad imbottigliare 65 anni fa grazie all'impegno e alla determinazione del suo fondatore, Sebastiano de Corato. Poi negli anni '90 è arrivato anche il primo Nero di Troia in purezza che è stato il Vigna Pedale Castel del Monte Riserva Doc 2010 di Torrevento. Oggi non si può non citare il Violante (Castel del Monte Nero di Troia Doc 2011) della cantina Rivera per approcciarsi ad un gusto giovane e fresco in cui le note di viola lasciano immaginare i paesaggi delle colline dell’alta Murgia. Né mai dimenticare il Falcone Rivera, con i suoi sessant'anni di storia, il primo grande vino a far conoscere al mondo l’eleganza e la capacità di invecchiamento del Nero di Troia, insieme ad una piccola quota di Montepulciano. E poi c’è l’impegno del Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli che è stato capace di trasformare i terreni selvosi dell’Alta Murgia in rigogliosi vigneti, da cui in particolare nasce il Rinzacco, da uve di Nero di Troia in purezza Castel del Monte Riserva Docg 2011. 
 


(Ottagono Torrevento)
 

Nella Doc infatti accanto alle versioni classiche Rosso e Riserva che lo prevedono in uvaggio, sono divenute pure importanti le versioni Nero di Troia e Nero di Troia Riserva, quest’ultimo elevato a Docg nel 2011. È una Riserva Docg 2011 anche l’Ottagono Castel del Monte Torrevento, un esempio da citare perché rappresenta l’innovazione in atto. Nasce a 450 metri dal livello del mare, da una selezione di uve ad acino piccolo ai piedi di Castel del Monte. Impenetrabile, dai riflessi violacei, con un bouquet pieno e persistente di frutti rossi, corposo al palato ed elegante. Stupisce il prezzo: circa 11 euro franco cantina. E in generale è medio bassa la fascia di prezzo di tutti i vini della Doc degustati. 
 


(Violante Rivera)
 

Una nota che desta curiosità davanti ad un calice di vino di bella stoffa. Come mai un prezzo così basso? “Ci sentiamo maturi verso la nostra qualità, e di fronte alle potenzialità che crediamo di avere; forse siamo ancora timidi e modesti – ha affermato Liantonio  – ma anche agguerriti nel voler far conoscere la filosofia produttiva della Puglia. Questa la cosa che più conta adesso. Il Consorzio inizia da questo momento un nuovo capitolo di storia del regale vino di Puglia che qui trova la sua terra d’elezione. Andiamo avanti con la ricerca, con l’innovazione e con un sogno: trasformare Castel del Monte in una sorta di grande cru che crei un legame inconfondibile tra il territorio, il suo vitigno e i vignaioli, e che sia riconoscibile nel mondo. Ce la metteremo tutta. Si sentirà parlare di noi”. 

Francesca Landolina