Un vero e proprio terremoto giudiziario è quello che sta sconvolgendo alcuni Comuni dei Nebrodi, nel Messinese.
Gli agenti del commissariato di polizia di Sant’Agata di Militello e della squadra mobile di Messina, coordinati dalla procura della Repubblica di Patti, hanno eseguito 33 misure cautelari, emesse dal gip Andrea La Spada, nei confronti di allevatori, macellai e veterinari in servizio presso dell’Azienda sanitaria provinciale di Sant’Agata di Militello. Le indagini condotte dai poliziotti del commissariato nebroideo, guidato dal vicequestore aggiunto Daniele Manganaro, hanno fatto emergere una catena della attività illegali che iniziava con i furti di bestiame – spesso maltrattato e ucciso – poi macellato clandestinamente e quindi immesso nei circuiti di vendita. Gli alimenti che raggiungevano le tavole, secondo gli inquirenti, erano pericolosi per la salute perché prive dei controlli sanitari e, così, ad altissimo rischio per la trasmissione di malattie infettive gravi come la tubercolosi. In tutto gli indagati dell’operazione “Gamma Interferon” sono 50 e ognuno avrebbe avuto un preciso ruolo nell’organizzazione della filiera illegale e clandestina delle carni parallela a quella certificata.
Le indagini vanno avanti dal 2014, da quando si è insediato il vicequestore aggiunto Daniele Manganaro. E' stata costituita una task force di investigatori con competenze diverse — fra cui anche esperti chimici — che ha condotto numerose indagini sui reati ambientali e, soprattutto, su quelli legati all’agricoltura e agli allevamenti. La squadra in poco più di due anni ha sequestrato numerose centinaia di capi di bestiame, messo sotto sigilli 20 macelli clandestini, denunciato decine di allevatori per abigeato e maltrattamenti sugli animali. Soprattutto ha scoperto che le organizzazioni criminali hanno messo gli occhi sul traffico di farmaci illegali proveniente dall’Est europeo. I poliziotti hanno, infatti, sequestrato numerosi flaconi di un farmaco venduto clandestinamente, per una manciata di euro, da utilizzare al posto di un altro prodotto, legale in Italia, ma che costa quasi dieci volte tanto. Il farmaco viene usato contro i parassiti degli animali e deve essere somministrato prima dell’arrivo dell’estate, con una sospensione di 180 giorni. Il problema è che il farmaco dell’Est è simile solo nel nome a quello costoso e per giunta, se viene mal utilizzato sugli animali, si sospetta che possa diventare cancerogeno una volta che quelle carni (o latte di capra) arrivano sulle tavole.
Nella provincia di Messina sono stati certificati una cinquantina di casi ufficiali di brucellosi umana che è una malattia particolarmente invalidante e sono stati riscontrati focolai di brucellosi e tubercolosi negli allevamenti. Secondo i dati rilevati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia (Izs), aggiornati al 31 dicembre scorso, proprio questa provincia è la più colpita dell’isola. Su 312 allevamenti risultati con mucche affette da brucellosi, 177 si trovano qui mentre su 309 aziende siciliane di pecore e capre infette 85 si trovano in questa zona. Gli animali, per entrare nel circuito commerciale, devono essere ufficialmente indenni da brucellosi e tubercolosi. Su un milione e 500 mila capi del patrimonio zootecnico regionale, annualmente l’Izs della Sicilia effettua oltre un milione di esami, perché gli animali controllabili sono quelli che hanno più di un anno.
Una situazione nel Messinese che aveva portato anche la procura di Patti ad aprire alcuni fascicoli e che aveva fatto tuonare il governatore siciliano Rosario Crocetta. “Abbiamo il sospetto di omessi controlli — aveva detto il presidente della Regione — e va creato un sistema di rotazione che dovrà interessare tutto il personale”. Così, il governatore ha istituito una commissione ispettiva, coordinata dal noto ricercatore Vincenzo Di Marco Lo Presti e composta da tre medici veterinari. A tutto vantaggio delle centinaia di allevatori onesti dei Nebrodi, che con il sudore della fronte provano a mandare avanti le loro aziende. Perché è bene ricordare come proprio in questa zona la gente non ha lasciato solo, nella sua azione di “pulizia”, il presidente del Parco, Giuseppe Antoci, neanche dopo l’agguato mafioso subito e sventato, ironia della sorte, proprio dal coraggio del vicequestore aggiunto Manganaro che ingaggiando una sparatoria ha messo in fuga il commando.
Ma questa operazione non fa di certo bene al nome del Suino Nero dei Nebrodi, vera prelibatezza ed eccellenza siciliana che rischia di vedere calare le proprie vendite drasticamente a discapito di quei allevatori che lavorano con passione ed onestà.
C.d.G.