Crisi politiche ed emergenze climatiche nei paesi produttori di caffè hanno fatto aumentare i prezzi dei chicchi “verdi” all’origine, quindi prima della torrefazione e hanno toccato i massimi, che non intendono abbandonare. Anzi, i future a tre mesi della qualità Robusta sul listino di Londra si mantengono ai livelli più elevati di sempre, attorno ai 4.820 dollari alla tonnellata dopo il massimo storico delle ultime ore a quota 4.840. I contratti a quattro mesi per l’Arabica, che fanno riferimento al mercato statunitense in libbre, sono a 2,54 dollari (circa 5.700 dollari alla tonnellata), con il massimo dal 2011 toccato a 2,59 dollari. Non è detto che questi aumenti si trasferiscano immediatamente nella tazzina al bar o nell’acquisto del caffè per casa, ma l’allarme è già stato lanciato da Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè, che vede il costo al bancone verso i due euro medi. Il prezzo della materia prima della qualità più profumata, l’Arabica, è infatti cresciuto del 66% rispetto all’anno scorso, oltre il doppio se confrontato a tre anni fa. Il problema, oltre all’attuale siccità in Sud America, è che i prezzi di queste materie prime sono collegati tra loro. E gli effetti del cambiamento climatico arrivano fino ai mercati telematici di Londra e New York. Caffè e cacao sono infatti colture delicate, che richiedono condizioni precise di temperatura, presenza di acqua e stato dei terreni. Così gli attuali sconvolgimenti del clima, alluvioni comprese, danneggiano i raccolti. Come in Africa occidentale, dove vengono prodotti i due terzi del cacao mondiale.
Assoutenti ricorda come in Italia vengano serviti nei locali pubblici circa sei miliardi di tazzine di caffè all’anno, che generano un giro d’affari enormemente superiore. Gli esercenti tentano infatti in tutti i modi di tenere calmierato il prezzo del singolo caffè, sul quale si basa spesso la scelta del bar da parte dei clienti che poi al bar consumano molto altro. Ma ora un report di Mps market strategy ricorda come la siccità in Brasile sia arrivata “in un momento cruciale per il ciclo vegetativo delle piante”. Confermando che anche gli analisti finanziari guardano sempre più spesso al clima. Ed è levata di scudi contro questi aumenti. “Il prezzo del caffè al bar deve riflettere esclusivamente la qualità del prodotto in tazza e il livello del servizio offerto e non può più essere il risultato di speculazioni politiche o legato a un prezzo fisso, storicamente troppo basso”, sostengono all’Istituto Espresso Italiano, realtà che rappresenta tutta la filiera italiana, con il presidente Luigi Morello che interviene nella discussione in atto sull’aumento dei prezzi dell’espresso nei pubblici esercizi. “No deciso alla strumentalizzazione del settore”, fa sapere il presidente, precisando che “il barista rappresenta l’ultimo miglio nella trasformazione della materia prima, quindi il prezzo della tazzina di caffè rappresenta a sua volta l’ultimo passaggio nella catena del valore: entrambi costituiscono elementi critici su cui si regge l’intera filiera”.
Ecco perché l’invito dell’Istituto a riflettere con attenzione, evitando conclusioni affrettate e a considerare che l’Italia è l’unico Paese che non riesce a valorizzare adeguatamente la figura del barista e a riconoscere il giusto valore del caffè. Morello ricorda che sulla tazzina di espresso gli aumenti sono al di sotto dell’inflazione, continuando a mantenerne il prezzo tra i più bassi d’Europa. Ad essere salito sono anche costi e materie prime. “Negli ultimi 18 mesi i torrefattori – ha spiegato il presidente – si sono trovati ad affrontare una difficile reperibilità del caffè, il costante aumento dei prezzi e ulteriori problematiche logistiche”. Ma tutto il settore sta attraversando momenti difficili, anche a causa della mancanza di personale qualificato. La bassa redditività non solo ha ridotto il numero degli esercenti, ma ha anche reso difficile offrire stipendi adeguati, facendo sì che la professione del barista sia meno attrattiva. Secondo Fipe Confcommercio, infatti negli ultimi 10 anni il numero delle imprese che svolgono attività esclusivamente di bar è diminuito di oltre 22mila unità. Insomma non speculiamo su ‘Na tazzulella ‘e cafè.