“Servono strumenti coerenti per la crescita del biologico e una nuova consapevolezza delle filiere, per mantenere coerenza di visione e declinare i nuovi orizzonti di sviluppo utilizzando le risorse disponibili, evitando approcci disarticolati e in contraddizione fra loro.
Il biologico richiede in questa fase un passaggio epocale da produttori a imprenditori, perché sul mercato non ci si improvvisi più”. È un appello ad affrontare i nuovi orizzonti del biologico quello che Gabriele Canali, docente di Economia agraria all’Università Cattolica di Piacenza, rivolge agli operatori presenti al convegno su “Pac e biologico: l’impatto sul mercato”, organizzato a B/Open, rassegna b2b di Veronafiere dedicata al bio food, dal Ccpb, ente di certificazione del settore. Le opportunità di crescita del comparto sono offerte da una contingenza particolare, che si inserisce in un grande cambiamento da affrontare con responsabilità da parte delle catene di approvvigionamento e delle istituzioni, “dal Regolamento comunitario 848 del 2018, che entrerà in vigore dal prossimo gennaio e che ci vede preoccupati, perché ad oggi mancano ancora i decreti attuativi, alla riforma della Pac che sarà applicata da gennaio 2023 e dalle strategie europea Farm to Fork e nazionale del Piano nazionale di ripartenza e resilienza, in cui all’interno delle azioni dedicate all’agricoltura sostenibile potrebbero trovare spazio elementi di rafforzamento dell’agricoltura biologica”, spiega Fabrizio Piva, amministratore delegato del Ccpb.
Il biologico ha interessanti possibilità di crescita anche in aree dove storicamente si è sviluppata un’agricoltura ad alto valore aggiunto, come la Pianura padana, è convinto Canali, “a patto che si tenga presente che il settore deve rafforzarsi ancora, rispondendo con una crescita equilibrata delle produzioni al proprio interno, tale da rispondere a consumi crescenti senza dover ricorrere alle importazioni, altrimenti rischieremmo di aprire un fronte sulla competitività delle imprese”. Come muoversi? “Sarebbe opportuno promuovere progetti atti a rafforzare approcci di filiera e territoriali efficaci e di lungo periodo, incentrati su un tessuto imprenditoriale forte”, suggerisce Canali.
Sul piano pratico le opportunità non mancano, anche se “politiche di sviluppo più omogenee rispetto a quelle attuali, dove si assistono ad alcune divergenza fra regione e regione, potrebbero assicurare un quadro di crescita più uniforme a livello nazionale”, esordisce Riccardo Meo di Ismea, che traccia la strategia per uno sviluppo coerente del biologico. “Dovrà prevedere un ampliamento della superficie coltivata, l’aumento dei volumi di derrate agroalimentari biologiche sui mercati, sostenere l’accesso al cibo biologico per avere una platea più vasta di consumatori, cercando allo stesso tempo di evitare gli effetti negativi sui prezzi derivati da una sorta di democratizzazione del cibo biologico”, incalza Meo. Dagli eco-schemi previsti dalla riforma della Pac ai futuri “interventi” all’interno del Piano strategico nazionale, che dovrebbero di fatto sostituire le “misure” della precedente programmazione, gli strumenti di interventi dedicati al biologico sono una sessantina. Opportunità e soluzioni per accompagnare una filiera strategica come quella del biologico, dunque, non mancano e spaziano, appunto, dalle politiche settoriali all’Organizzazione comune di mercato, dalle strategie a supporto degli investimenti all’insediamento dei giovani, passando per la cooperazione, la gestione del rischio, la consulenza in agricoltura, il sistema europeo Akis per favorire la formazione e la diffusione della conoscenza e delle competenze. “Contemporaneamente – osserva Fabrizio Piva, ad del Ccpb – dovremo evitare appesantimenti burocratici, che frenano lo sviluppo del bio, ma anche ridurre gli sprechi in campo e lungo la catena di approvvigionamento”.
Il futuro del biologico, è emerso anche nel convegno su “Le filiere del grano biologico italiano”, promosso a B/Open da Cia-Agricoltori Italiani in collaborazione con Bioagricoop, sarà quello di “impegnarsi in filiere multi-prodotto, favorire la diffusione di veri contratti di filiera di durata almeno triennale, definire gli strumenti e le modalità di determinazione del prezzo, programmare le semine e adeguare l’assistenza tecnica, la gestione del rischio, i progetti di ricerca e innovazione, così da realizzare un modello integrato e organizzato del sistema agricolo e alimentare italiano, per una filiera che sia allo stesso tempo finalizzata a migliorare le produzioni, le competenze, la redditività”.
C.d.G.