Che cosa comporta l’arrivo del secondo Master of Wine italiano?
“Per me non è una questione di classifica. Solo quando tutti e tre i membri italiani del gruppo di studio MW – oltre a me e a Gabriele Gorelli, primo MW del nostro Paese, anche Pietro Russo, ora al terzo step del percorso – avremo in mano questo titolo allora potremo dire che l’Italia del vino è finalmente riuscita a dare un messaggio importante nella wine-industry internazionale. Insieme abbiamo iniziato il percorso da MW, insieme abbiamo condiviso ogni singolo step e questo perché solo insieme si riescono a fare esperienze così ampie, che vanno ben oltre il titolo. Il titolo è sicuramente importante ma la cosa fondamentale è la persona sulla quale esso si innesta. Per noi tre questo percorso di crescita era fondamentale. Il MW è il riconoscimento di massimo prestigio nel mondo del vino, l’olimpiade del vino. È un esame difficilissimo che alterna batterie di degustazione a essayes (temi) su base Oxford-Cambridge e quindi estremamente complicato per noi latini. Si può diventare MW anche studiando molto, impegnandosi solo per questa cosa, ma il rischio più grande che si corre è quello di volere il titolo e non il cambiamento di sistema operativo (hard and soft skills) che questo programma può generare a livello umano e professionale. In questo senso, le nostre storie ed i nostri background sono profondamente diversi: Gabriele Gorelli è un edonista del vino, è un professionista che conosce tutti i migliori produttori e vini del mondo. È un esteta del vino e potrà aiutare l’Italia a conoscere a fondo queste dinamiche. Pietro Russo invece è un winemaker con una forte sicilianità, e darà un grande contributo a questa Regione. Ha un approccio analitico, serio e trasparente al vino. A parte questo, credo che l’Italia potrà portare il concetto di managerialità del vino nei MW grazie alle nostre figure professionali piene di creatività e spirito imprenditoriale. Il vino internazionale ha una grandissima fame di questi valori”.
Quindi non arriva un altro comunicatore del vino?
“I MW sono per la maggior parte dei comunicatori, poi vengono gli educator, poi alcuni winemaker ed infine i manager. Ecco io appartengo a quest’ultima categoria. La più piccola e la più recente dei MW. Tra questi ci sono alcune wine-business people di grande successo come David Gleave di Liberty Wines ed alcuni più recenti come Justin Knock, Christophe Heynen, e Nick Bielak. Questi ultimi tre sono stati quelli che mi hanno incuriosito ed ispirato. Sono MW che non hanno costantemente solo il bicchiere in mano ma che si occupano di sviluppo, pianificazione, organizzazione ed hanno visione. In effetti, il vino non è solo ruotare un bicchiere, assaggiare un vino, indovinare la sua provenienza ed essere bravi nei social-media. Il vino è pensare anche al suo futuro stilistico, economico, sociale e produttivo. Il vino è dialogare con i viticoltori, con i commerciali e con gli imprenditori che vogliono rendere un’idea un potenziale successo. Il vino è capacità di ascolto non solo di quello che sta nel bicchiere, ma anche di quello che un territorio può produrre o di quello che il consumatore o i mercati possono chiedere. Volevo quindi mettermi alla prova in un ricerca in cui potevo unire questi differenti approcci”.
Ma allora con il MW cosa farà? Cosa cambia da domani?
“Continuerò a fare le stesse cose. Per ora non cambierà nulla. Ho avuto una fortuna immensa in questi anni: poter praticare direttamente quello che vedevo ed imparavo nel MW su casi pratici e veri. In questi anni, grazie ad Angelini Wines & Estates, ho potuto sviluppare una serie di progetti di successo, innovativi e contemporanei in cui ho messo non solo il classico grande impegno, ma anche un filo di coraggio e di visione, guidata dalla passione e dallo stimolo generato da questo programma unico. Il progetto di rilancio della Bertani attraverso il concetto dello stile, i versanti di Montalcino (le Vigne del Brunello), il focus sul Sangiovese da tre denominazioni diverse (Brunello di Montalcino, Chianti Classico e Nobile di Montepulciano), il progetto “The Library”, lo sviluppo commerciale di Val di Suga in Usa con Wilson Daniels sono stati i miei campi di saggio. Ora con il titolo di MW vorrei dare ancora maggiore focus, progettualità stilistica, organizzazione manageriale ed indirizzo commerciale al progetto di fine wines di Angelini Wines & Estates.
Quali sono i risultati più belli ottenute grazie al MW?
“Sono tre. Il primo: aver modificato le mie soft skills. Sono un creativo ed istintivo: il percorso MW mi ha insegnato la disciplina e la strategia. Per aiutarmi in questo mi sono sottoposto a intense sedute di allenamento con un coach, Andrea Cipriani. Il percorso MW mi ha insegnato a ricercare le aree di miglioramento e individuare come e con chi vi si possa lavorare. Dei tre, sono stato il primo a passare il blocco dell’esame di teoria. Si tratta di uno step che richiede di scrivere, nell’arco di cinque giorni, 13 essayes su tematiche che spaziano tra viticoltura, winemaking, quality control, marketing e temi contemporanei. Mi sono però arenato nella parte di tasting, apparentemente quella che avrei dovuto superare per primo, visto il mio background. Era la mia costante ricerca al di fuori dagli schemi che impediva questo secondo step. Oggi, grazie a queste sfide e durissimi allenamenti, ho acquisito una naturale flessibilità e capacità di lettura di quando servono la componente metodologica, la disciplina, il rigore e quando invece a questa si può aggiungere la componente creativa, che è quella che permette di eccellere e di diventare pionieristici e identitari. Il secondo: il pensiero e la voglia di trasferire costantemente al gruppo di lavoro questa way of thinking. Le persone sono al centro del programma MW. Le persone sono il motore delle aziende. Lavorare su di esse è la cosa che più mi appassiona. Sono orgoglioso di alcuni nostri ragazzi in Angelini che hanno fatto passi da gigante in questi anni. Sono talenti favolosi per il vino italiano. Vorrei vederli decollare per essere wine people di riferimento nelle regioni in cui operano.
E il terzo?
“Il terzo non è ancora avvenuto: vorrei che altri manager del vino italiano potessero intraprendere questa strada. L’Italia è fatta di aziende leader dal punto di vista imprenditoriale, molto meglio di quelle che pensiamo di trovare all’estero. Dobbiamo però avere la forza e la capacità di consolidare i nostri modelli. Dobbiamo individuare i nostri valori e stabilirne le priorità; dobbiamo saper indirizzare le nostre energie con lungimiranza e costanza. Il vino italiano ha e può mettere a disposizione grandi opportunità, non ha bisogno di scimmiottare modelli di riferimento quali Bordeaux, Borgogna, Rodano, Napa, Champagne. Se non capiamo questo corriamo il rischio di rimanere poco credibili agli occhi dei grandi opinion leader internazionali. I territori e i relativi leader hanno bisogno di coltivare la propria metodologia produttiva, la propria identità e di conseguenza la propria riconoscibilità. Barolo, Brunello, Bolgheri e alcuni top players del vino italiano (ad esempio Antinori, Ornellaia, Gaja) sono diventati veri leader di questo modo di fare, di questa capacità di trasferire solidità, sicurezza, costanza produttiva e per questo sono substrato fertile per la creazione di valore attraverso la comunità internazionale. Oggi per fare questo servono risorse umane formate, e un MW può indubbiamente essere l’acceleratore per acquisire metodo e questi processi di sviluppo”.
Ma come è la comunità dei MW?
“È un ambiente unico, per certi versi diabolico, ma allo stesso tempo un grandissimo volano di energie e stimoli. È una grande club basato sul concetto di critical friends. Cosa significa? I giudizi sono sempre estremamente severi e selettivi: per questo in molti abbandonano. Sono però giudizi che non vogliono penalizzare, bensì mettere in luce quali sono i punti da migliorare. È un club del quale la regola principale è lo share che crea un sistema orizzontale, come il mondo professionale oggi impone. È un club nel quale i leader basano la propria forza sul prestigio e non sul comando. La comunità dei MW non dà imposizioni e non ci sono controlli; é un ambiente in cui vige una leadership di autorevolezza e che viene riconosciuta dal gruppo. Per questo le persone si uniscono e cercano supporto, perché non è la singola persona bensì il gruppo di lavoro che emerge. Io, Gabriele e Pietro siamo un esempio di questo. Questi sono gli elementi che rendono l’Institute of Master of Wine ancora oggi interessante e contemporaneo dal punto di vista formativo”.
I MW spesso rappresentano una wine region. Ora è arrivato un MW veneto?
“I miei 10 anni in Giv mi hanno dato una visione ed una conoscenza trasversale sull’Italia. Controllavamo oltre 1.000 ettari di vigneto dalla Alpi (Nino Negri) alla Sicilia (Rapitalà). Era un gruppo di manager di altissimo livello. Io ero il più giovane (a 33 anni già dirigente). Eravamo nel pieno della rivoluzione produttiva del vino italiano. Abbiamo sviluppato concetti di controllo di gestione per l’area produzione, abbiamo innovato portando i primi prototipi di viticoltura di precisione e indagine dei suoli. Siamo stati pioneristici nella gestione dell’irrigazione nei climi mediterranei sviluppando gli indici di stress idrico per le varietà autoctone italiane. Poi dal 2012 è arrivata la Bertani Domains oggi AW&E progetto quasi che si è evoluto quasi in concomitanza con il mio ingresso nei MW. In questa esperienza mi sono diviso soprattutto tra Toscana, Valpolicella e mercati esteri. Ed oggi mi seno proprio così: un toscano quando sono a Verona ed un veneto quando sono in Toscana. La Toscana mi ha insegnato il concetto di qualità, di stile ma soprattutto la capacità di creare prestigio e valore, anche se però alcune volte è molto lenta e macchinosa. Il Veneto ha invece una grande imprenditorialità ma il limite di dover sempre correre che si estrinseca in una instancabile capacità produttiva. Oggi le aziende di Angelini ed il nostro gruppo di lavoro combinano queste due regioni e i lati positivi. Bertani è cresciuta culturalmente e commercialmente grazie ad un approccio gestionale veneto ed, invece, le nostre realtà toscane sono esempi di efficienza ed efficacia nei rispettivi territori. In 10 anni abbiamo rigenerato Val di Suga portandola tra le prime 15 aziende di Montalcino. In questo ci è voluto questo giusto mix che il MW ha sicuramente stimolato”.
Quali sono le persone che vorresti ringraziare?
“Mia moglie Alberta e le mie figlie Maria e Margherita; mai per un secondo hanno messo in dubbio che non sarebbe arrivato questo riconoscimento. La stima è fondamentale nella self-confidence. Gabriele Gorelli e Pietro Russo i miei due compagni di viaggio; la nostra complementarità deve essere esempio di team building e del fatto che in gruppo ciò che è impossibile singolarmente è superabile. Chi mi ha spinto a fare questa scelta. I vertici di Angelini ed il mio gruppo di lavoro per avermi lasciato fare questa cosa. Andrea Cipriani, un professionista del coaching con il quale collaboro da tre anni. Ed infine alcuni MW come Yiannis Karakasis, Michelle Cherutti-Kowal e Chistophe Heynen”.