di Alessandra Meldolesi
Forse non è un caso se i due maggiori gruppi dell’alta ristorazione italiana rappresentano l’emanazione di grandi storie familiari.
Prima della pandemia, nel 2019, dominavano i Cerea, con un fatturato di 17,9 milioni di euro; secondi gli Alajmo a quota 13,4, in crescita netta. Due piccoli imperi costruiti attorno a celebrati tre stelle, sopravvissuti con grinta a un biennio maledetto. Da Vittorio, da solo o in consulenza, manda avanti 13 attività fra ristoranti, pasticcerie e strutture ricettive, più un laboratorio di pasticceria e logistica, ViCook per i pranzi collettivi e l’eventistica. Agisce fra l’Italia, la Svizzera, la Cina e la Francia muovendo 200 dipendenti. Si tratta di una società a gestione familiare, dove le decisioni vengono prese dai fratelli insieme a mamma Bruna, con il supporto di tecnici per gli aspetti manageriali.Mentre le Calandre, società per azioni, contano anch’esse 13 attività fra ristoranti, bar e negozi di alimentari, un laboratorio di produzione, l’ufficio interno di comunicazione, grafica e marketing, per un totale di 180 dipendenti sparsi fra l’Italia, la Francia e il Marocco. Le decisioni, su suggerimento dei fratelli, vengono prese da un board aziendale, dove siedono i soci e il direttore. Se gli uni e gli altri si sono salvati, è stato merito di un rabbioso “instant management”, che per due anni ha spostato le pedine secondo le opportunità di mercato, sotto il segno di una flessibilità che resterà patrimonio aziendale. Ne parlano insieme Raffaele Alajmo e Francesco Cerea, che tracciano un primo bilancio.
R.A. – “Il primo anno è stato particolarmente duro: un’azienda non la spegni con l’interruttore, ci sono costi che continui a pagare e impegni finanziari in corso. Avere chiuso dall’oggi al domani ogni possibilità di incasso ci ha creato grandi difficoltà, anche perché le nostre dimensioni ci precludevano l’accesso a qualsiasi tipo di sostegno. Non abbiamo avuto un centesimo, ma se le attività non fossero cadute sotto la medesima partita iva, secondo i miei calcoli avremmo incassato oltre mezzo milione. Il paragone che faccio in questo caso è con l’aeronautica: prendiamo un boeing pieno di passeggeri, se il motore si spegne cade e si sfracella; invece un piccolo apparecchio magari plana e qualcuno può salvarsi. Questa situazione ci ha portato ad attivare diverse strategie interne. Abbiamo aperto sull’isola della Certosa a Venezia un nuovo ristorante prettamente estivo, tutto all’aria aperta, in linea con le necessità del momento. Così siamo riusciti a ricollocare buona parte del personale, la cui cassa integrazione straordinaria era largamente insufficiente. Preoccupati per l’arrivo del freddo, poi, con Renzo Rosso abbiamo stretto un accordo per un’osteria a Cortina, che ha avuto un grande successo, quando poteva essere aperta. Mentre la sera abbiamo organizzato un sistema di consegne, quindi qualcosa abbiamo portato a casa, abbiamo dato lavoro e ci siamo tenuti occupati. Nel frattempo ragionavamo su cose che erano ferme da tempo. La Montecchia, per esempio, aveva bisogno di essere rinfrescata con qualche investimento, ma la proprietà era cambiata e il matrimonio era agli sgoccioli. L’abbiamo lasciata, come Amor a Milano, iniziando piuttosto la nuova collaborazione con Riccardo Donadon. Nel campus di H-Farm abbiamo aperto 4 punti di ristoro interni, fra cui la versione 2.0 di via Como, che va molto bene. Siamo contenti. Nel frattempo abbiamo intrapreso mille altre iniziative invisibili: abbiamo rifatto il sito, creato l’e-commerce, rinnovato i prodotti, messo a punto il Crm, un database finalizzato alla fidelizzazione del cliente, con diverse fasce e l’accumulo di punti presso tutte le attività”.
F.C. – “È stato un periodo in cui abbiamo galleggiato, cercando di restare positivi. Venivamo dall’anno dei record, il 2019, quindi non mancava fieno in cascina. Ma abbiamo dovuto mettere in campo nuove strategie, che hanno avuto un ottimo riscontro. Da subito abbiamo fatto molto delivery, incrementato il settore gift, l’e-commerce, i lievitati e anche le consulenze. Il DaV estivo in Cantalupa, perfetto per i tempi, ha fatto un grande fatturato, così come il DaV a Portofino. Non abbiamo chiuso niente; se qualche attività si è interrotta, come a Monza, non è stato certo per una nostra scelta. Sono persuaso che tutta la parte del trasportato sia destinata a restare, perché sono segmenti che continuano ad andare, delivery compreso. Ma gli eventi sono in grande ripresa, e probabilmente rosicchieranno qualcosa alle consegne”.
R.A. – “Sono d’accordo. Da certe abitudini non si torna indietro. C’è stata un’accelerazione verso il mondo digitale. Il QR code, che nessuno conosceva, è diventato familiare perfino agli anziani e la confidenza sul mercato online è cresciuta in modo esponenziale. Molte aziende si sono sviluppate in questo senso. Io per esempio abito in centro a Venezia e compro le verdure online. Quindi c’è stata una modernizzazione dell’offerta e dei clienti, destinata a restare. Ci siamo accorti che se abbiamo voglia di pastiera napoletana, basta un click. E questo vale un po’ per tutti i prodotti europei. È anche vero che siamo diventati più locali nel senso di italiani, ma su Venezia per esempio la percentuale di stranieri è tuttora altissima, perché un certo tipo di clientela, viaggiando su aerei privati, ha continuato a spostarsi. In generale sono ospiti che cercano tavoli ben distanziati, la riservatezza, la saletta privata e anche in futuro il cameriere dovrà mantenere una certa distanza”.
F.C. – “Da Vittorio i bergamaschi non sono mai mancati, per tanti è sempre stato il posto dove festeggiare le ricorrenze. Ma in generale il mondo da noi non si è fermato. Siamo pieni di milanesi, romani, svizzeri, tedeschi… Il pubblico non è cambiato né al R&C né al laboratorio, che puntualmente finisce la merce prima dell’orario di chiusura”.
R.A. – “Personalmente ho sensazioni molto positive. Per quanto riguarda gli eventi, se il 2020 è stato azzerato, nel 2021 ce ne sono stati di molto belli e quest’anno la richiesta è altissima. Dopo 3 anni a Venezia ripartirà la Biennale d’Arte, l’evento più importante per la città. Anche se non torneremo alla vecchia normalità. Per un po’ vivremo un periodo drogato dall’astinenza e dalla compressione, con una voglia esagerata di viaggiare e divertirsi, che inevitabilmente fletterà. Inoltre tutti noi abbiamo apprezzato alcuni aspetti del recente passato, come stare a casa e avere più tempo libero. Il cambiamento grosso ci sarà sul mercato del lavoro: abbiamo perso tanti collaboratori, che avendo un sussidio insufficiente, hanno cercato altrove e si sono abituati a orari diversi. Non credo torneranno indietro. Questa situazione probabilmente produrrà cambiamenti negli orari e una riduzione dell’offerta, nel senso che i menu sterminati che richiedono brigate numerose verranno abbandonati. È probabile che il cliente non lo noterà neppure, perché sarà la nuova normalità, praticata da tutti. Può darsi inoltre che nelle fasce alte aumenti la percentuale di lavoratori stranieri, come nel resto della ristorazione. Poi c’è il problema delle bollette, per ovviare alle quali ognuno cercherà di rendersi più autonomo e sostenibile attraverso l’autoproduzione e l’attenzione ai consumi. Fa specie ricordare che appena 15 anni fa siamo passati dal gas all’elettrico, investendo perfino sul riscaldamento, oltre la climatizzazione che già c’era. Alzare i prezzi sarà necessario anche per seguire l’onda del periodo inflattivo in cui siamo entrati”.
F.C. – “Il caro bollette è sicuramente un motivo di grande preoccupazione, così come l’inflazione sul mercato delle materie prime. Se questi fenomeni dovessero perdurare, rappresenterebbero un’ulteriore, ingiustificabile penalizzazione per il nostro settore, nella mancanza totale di aiuti, che peraltro noi non abbiamo mai percepito. Poi c’è la mancanza di manodopera, che affligge anche noi. Siamo abituati a lottare, ma servono politiche amiche dell’impresa. I sussidi sarebbe meglio darli a chi lavora, per alzare i salari e aumentare l’occupazione. Ed è un peccato, perché fatichiamo con le nuove aperture. È possibile che tutto questo si traduca in un rialzo dello scontrino, dipende in gran parte dai margini di manovra delle singole imprese”.
R.A. – “Di fatto la Francia ha reagito molto meglio dell’Italia. Tutti i nostri dipendenti colpiti dalle chiusure hanno percepito un sussidio pari all’85% dello stipendio precedente, quindi sono stati praticamente in ferie, senza problemi particolari a pagare l’affitto o il mutuo. E l’economia è andata avanti. Noi abbiamo perso il primo slot di aiuti perché eravamo troppo grossi, poi abbiamo percepito il 20% del fatturato del 2019, con un minimo garantito. Adesso guardiamo a nuovi progetti, che però sono ancora in fase di studio e di preparazione, quindi non sono citabili”.
F.C. – “Noi invece abbiamo già la prossima casella: un DaV Milano che aprirà in giugno a CityLife. Bellissimo”.