Api a rischio estinzione
Albert Einstein usava dire che: “Se le api fossero scomparse dalla faccia terra all’uomo non sarebbero rimasti che quattro anni di vita”. Un pronostico terribile ma mai più vicino alla realtà di quanto lo è ai nostri giorni. Quando si pensa alle api viene in mente subito il miele. Ma queste industriose operaie collaborano alla produzione di fiori, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, ciliegie, cocomeri, zucchine e pomodori, ma anche la grande maggioranza delle colture orticole da seme, come l’aglio, la carota, i cavoli e la cipolla. Oggi però le api sono a rischio estinzione. Ma perché le api scompaiono? I cambiamenti climatici, le onde della telefonia cellulare, le infezioni da virus e l’inquinamento da fitofarmaci, come i pesticidi, sono le cause principali. La bandiera del pericolo è stata sventolata per la prima volta dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e i servizi tecnici (Apat) che ha dichiarato che nel 2007 l’Italia ha perso duecentomila alveari, con un danno stimato in 250 milioni di euro. Al Nord la moria delle api ha toccato il 50 per cento. E le perdite si contano anche in Europa e negli Stati Uniti. Qui, in particolare, il fenomeno dello spopolamento ha raggiunto punte del 70 per cento. Il principale accusato d’oltreoceano, secondo uno studio pubblicato da Science Express è il virus Iapv (Israeli acute paralysis virus), arrivato negli Usa dall’Australia, che causa tremore alle ali e porta gli insetti a morire lontano dalle colonie. E il problema non è soltanto economico. L’ape è un bioindicatore, ai primi sintomi che qualcosa non va muore. In Italia ci sono circa 50 mila apicoltori, un milione e 100 mila alveari, si producono oltre 10 mila tonnellate all’anno di miele e 20 mila vengono consumate. Per molti sarebbe necessario vietare l’uso dei pesticidi neonicotinoidi, che hanno un effetto tossico distruttivo per le api, che perdono l’olfatto e il senso di orientamento.
J.T.