IL PRODOTTO
Diffuso tra gli apicoltori della Sicilia sud orientale ora soffre una crisi di produzione. Ecco perché
Sos miele di timo
“Devi sapere che gli sciami si sparpagliano per andare a succhiare il timo ibleo, allorché le regine muovono i cerei accampamenti e l’esercito mellifero, uscendo dal tronco cavo di un faggio, ronza in mezzo alle piante predilette”.
Così scriveva il poeta latino Claudiano, ed è uno dei tanti esempi possibili di versi e prose di autori dell’antichità classica dedicati al miele dei colli Iblei, già allora conosciuto e apprezzato per la dolcezza e la fragranza. In particolare quello ottenuto dalla pianta del timo, il thymus capitatus dei botanici, che ancora oggi cresce tra le cave aride e sassose e in altri luoghi dell’area iblea nella Sicilia sud orientale.
Il suo nettare è trasformato dalle api in un miele denso e profumato (in dialetto satra o satru) che si raccoglie tra luglio e agosto. Oggi però il timo è meno rigoglioso di un tempo a causa sia dell’inquinamento atmosferico che, in anni più recenti, degli scriteriati sbancamenti perpetrati a danno della vegetazione spontanea in alcune zone di questo splendido territorio compreso tra le province di Siracusa e di Ragusa.
A ciò si deve aggiungere la diminuzione d’interesse di molti apicoltori per la produzione di miele di timo, cui si preferiscono altre varietà ottenute con più facilità dalle api e, quindi, più redditizie. Trovare del buon miele di timo è diventato sempre più raro.
Rosa Sutera, titolare dell’azienda Xiridia di Floridia, in provincia di Siracusa, e il marito Vincenzo Raimondo sono apicoltori da generazioni. La loro attività segue il tradizionale ciclo nomade, ossia spostando le arnie in funzione delle fioriture per i vari tipi di miele prodotti; fra cui, oltre a quello di timo, il miele di fiori di arancio (bottinati in agrumeti situati fra Siracusa e Floridia) e il miele di castagno dei Nebrodi.
“Quest’anno – ci dice la signora Sutera – la nostra azienda ha ricavato mediamente dai 5 ai 6 chili di miele di timo per alveare, cioè da ogni cassetta dell’apiario. All’incirca lo stesso numero di api ha prodotto, per alveare, dai 10 ai 15 chili di miele di castagno e ben 30 chili di miele di fiori di arancio”.
Carmelo Maiorca