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Va di moda consumare prodotti del territorio. Vantaggi ambientali certi, ma non è detto che si risparmi. Il racconto di 5 giorni mangiando con un occhio alla provenienza del cibo
Fare la spesa a chilometri zero
di Clara Minissale
Abbiamo fatto la prova a fare la spesa a «chilometri zero». Ovvero acquistare e mangiare prodotti di un territorio limitato. I vantaggi? Costi ambientali ridotti (pensate alle mele che si acquistano nei supermercati che arrivano dal Cile quanti chilometri hanno percorso e quanto kerosene hanno bruciato); filiera più corta e – si spera – prezzi più bassi (ma non sempre è possibile) e garanzie di qualità e salubrità che è più facile valutare in quegli alimenti che non arrivano da lontano.
Ecco allora cinque giorni “forzati” di pasti a chilometri zero che ci hanno consentito di analizzarne vantaggi e difficoltà.
Naturalmente i prodotti locali sono più genuini perché impongono scelte solo su merce di stagione che non è soggetta a lunghi tempi di viaggio (come nel caso dei prodotti importati) e, secondo alcune stime nazionali, possono far risparmiare fino al 40%. Senza dubbio consumando i prodotti del territorio, nel mio piccolo, ho contribuito alla riduzione delle emissioni nocive nell'atmosfera che lo spostamento delle merci comporta ed ho promosso l'economia locale. Ma è stato necessario fare alcune rinunce. A voler fare gli intransigenti caffè, zucchero, farina, solo per fare alcuni esempi, sono stati banditi dalla mia tavola. E se del caffè si può anche provare a fare a meno, è un po' più complicato rinunciare alla farina.
Ma andiamo con ordine. Per il latte me la sono cavata con quello fresco di produzione locale che si trova nel banco frigo del supermercato. Qualche difficoltà è sorta per cereali, fette biscottate o biscotti. Già, perché non basta acquistarli al panificio sotto casa per essere sicuri che non provengano da lontano. Da dove arrivano infatti farina, strutto, lieviti ad altre materie prime normalmente utilizzate per i prodotti da forno? Un'alternativa possibile è stato il pane preparato con farina di rimacina, che dà maggiori garanzie di produzione locale. Insomma, colazione a base di pane e latte, come si faceva una volta, magari con un po' di miele e frutta di stagione. Soddisfacente.
A pranzo si pone il problema della pasta, perché, benché io abbia acquistato quella prodotta da una nota azienda isolana, come faccio a sapere da dove arriva il grano? Non c'è modo, la legge non obbliga a indicare la provenienza delle materie prime e bisogna abbozzare. Cerco di bilanciare con condimenti preparati con pomodoro locale, melanzane e olio acquistato da un produttore in provincia di Palermo o con pomodoro e tonno di Favignana. Ma non sono completamente soddisfatta perché sono consapevole che questo primo non è totalmente «local». Un'altra alternativa è una bella minestra preparata con le lenticchie di Ustica acquistata in un negozio che vende prodotti locali di nicchia o una pasta con pesto di pistacchio di Bronte. Ma in entrambi i casi si grava un po' sul bilancio perché non si tratta di prodotti a buon mercato.
La preparazione del secondo si presenta più facile. Scelgo spesso pesce azzurro dei nostri mari e per contorno arrivano provvidenziali le verdure dell'orto di un amico di famiglia: pomodorini, zucchinette genovesi e lattuga. Mai regalo fu più tempestivo! Pesche di Bivona e anche il pranzo è servito.
La cena rappresenta variazioni sul tema: pesce, verdure, mozzarella locale, uova. Provo anche ad acquistare della carne e, benché chieda espressamente al macellaio roba di produzione locale, qualcosa mi dice che non posso essere certa che si tratti di una fettina siciliana. Si pone infatti un altro dilemma. Una capo di bestiame acquistato altrove e allevato in Sicilia, può essere considerato a chilometri zero?
Per acqua e vino non ho che l'imbarazzo della scelta.
E quando mi assale la voglia di un dolce sorgono spontanee altre riflessioni. Quelli a base di ricotta presuppongono l'utilizzo dello zucchero: banditi. Per preparare pandispagna, bavaresi, budini e affini si usano amidi, addensanti, colla di pesce: eliminati. Anche un sano gelato al pistacchio di Bronte non è del tutto isolano. Non parliamo poi del cioccolato. Penso per un attimo di consolarmi con una tavoletta di quello modicano, ma il cacao… E rinuncio definitivamente al dolce con un po' di…amaro in bocca.