IL DIBATTITO
Pinuccio La Rosa, patron della Locanda di Don Serafino di Ragusa, interviene dopo la provocazione di Cronache di Gusto sulla ristorazione a Palermo. “Si punta troppo sulla clientela locale. Gli chef? Largo ai giovani talenti”
“Nei ristoranti
si pensi di più
ai turisti”
“Date più carta bianca ai giovani. Puntate sulla qualità del territorio che vi circonda. Create fiducia reciproca con la vostra clientela. Investite sul turismo. Solo così Palermo potrà fare alta ristorazione”.
È l’appello di Pinuccio La Rosa da Ragusa che rivolge ai suoi colleghi del capoluogo. Il patron del ristorante La Locanda di Don Serafino, che è anche segretario dell’associazione Le Soste di Ulisse, intervenuto al dibattito su Cronachedigusto sulla qualità dei menù panormiti, non risparmia nemmeno le critiche. I ristoratori, come sostiene, si starebbero sfidando in una battaglia sul prezzo più basso puntando solo sulla clientela locale. Una mentalità, per La Rosa, che ha finito con l’omologare l’offerta facendo perdere di vista il turista, colui che invece ha consentito ad una piccola provincia, di meno di 400.000 abitanti come quella di Ragusa, di avere 4 ristoranti stellati frequentati da gourmet di tutto il mondo.
Lei che osserva da lontano, cosa pensa della ristorazione a Palermo?
“Intanto concordo con tutto quello che ha detto Gigi Mangia nella vostra intervista. Per quanto mi riguarda vedo una ristorazione che non è riuscita a decollare perché ingabbiata socialmente”.
Che vuole dire?
“Che la colpa è da entrambe le parti. Da parte del ristoratore e da parte del cliente. Direi però che i ristoratori hanno peccato in molte cose. Intanto hanno giocato la partita solo col cliente del luogo. Si sono affidati troppo alla clientela locale, causando una concentrazione omogenea della clientela , cosa che li ha portati a lottare al prezzo più basso. La qualità ha bisogno di altri fattori e sono tanti. Prima di tutto la materia prima e la sua lavorazione, poi il ricambio generazionale. Di questo ne stanno soffrendo. Perché non hanno dato fiducia a chef giovani ben preparati. E poi si sono troppo ancorati e legati a quello che richiedeva la clientela locale. Lo sbaglio più grande sta nel fatto di non avere considerato il turista”.
Perché? il turista avrebbe un ruolo chiave per l’alta ristorazione?
“Palermo ha un milione di abitanti ed ha un afflusso turistico. Possibile che mai nessuno si sia proposto di fare ristorazione di qualità rivolgendosi ai turisti? Che sono quelli più disposti a spendere e danno la chance di potere fare una determinata cucina osando nel prezzo e nell’offerta gastronomica. Cosa che non è accaduta invece nella provincia di Ragusa che ha poco più di 300.000 abitanti e dove ci sono 4 locali stellati frequentati da gente di mezzo mondo. Perché Palermo che è capitale non riesce a fare questo?”
Come diceva le colpe sono da entrambe le parti, si spieghi.
“Ho visto che spesso certi ristoratori palermitani professano qualità che non hanno e clienti che richiedono la qualità ma senza spendere. Nessuno è profeta in patria, certo, però posso dire che il cliente è esterofilo, tende ad uscire e a spendere soldi fuori però poi non è disposto a pagare il giusto prezzo all’interno del proprio sito. Devo ammettere che questo accade anche a Ragusa. Ci sono palermitani e catanesi che fanno la gita fuori porta per venire a mangiare da noi, o da Sultano o da Cuttaia. Mentre noi non vediamo nessuno di Licata o di Ragusa. Però ritornando al ristoratore, in una cosa fa un grossissimo sbaglio, e mi dispiace dirlo, è diventato una mentalità diffusa”.
A cosa si riferisce?
“Al fatto che per il ristoratore ci siano clienti di serie A, B e C. Quando si presenta al tavolo un onorevole o un vip lo trattano in un modo, poi riservano tutt’altro trattamento al cliente normale, e dedichiamo il trattamento peggiore poi al turista. Perché un turista inglese deve essere bistrattato in questo modo? Poi se il turista non si trova bene in quella situazione non ritorna. Noi invece abbiamo investito sul turista, altrimenti come avrebbe potuto sopravvivere il commercio di questa cittadina? Il problema poi è anche la diffusa disaffezione nei confronti della propria città. Non c’è interesse a curarla”.
Che cosa suggerisce ai suoi colleghi allora?
“Intanto dare alla ristorazione un clima di internazionalità, non facendo piatti internazionali ma rivolgendosi a clientela eterogenea che possa dare amalgama a questa cosa. Di dare fiducia ai giovani chef, ce ne sono di bravi. Puntare sul territorio. E poi il turismo. Ripeto, i ristoranti devono campare con i turisti. Perché nessuno parla di turismo? Vogliamo parlare di questo? Si deve partire da qui”.
Manuela Laiacona