Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 84 del 23/10/2008

IL DIBATTITO Per pochi soldi di cacio

23 Ottobre 2008
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IL DIBATTITO

La crisi del Parmigiano Reggiano spesso venduto sottocosto o a prezzi promozionali. Il presidente del Consorzio lancia l’allarme: “Allevamenti a rischio”

Per pochi soldi
di cacio

Troppi sconti portano alla crisi. Il 57% del Parmigiano Reggiano viene venduto sottocosto in iniziative promozionali, perlopiù promosse dai supermercati e dalla Gdo dove è commercializzato l’80% della produzione casearia italiana. Il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Giuseppe Alai ha lamentato una percentuale di pezzi venduti a prezzi scontati ”eccessiva” al “Tavolo di crisi” convocato presso il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali.

Il periodo di difficoltà per il comparto di produzione del “re dei formaggi” perdura da quattro anni, ma negli ultimi mesi i costi di produzione sono aumentati del 18% e la caduta dei prezzi alla produzione è stata ”significativa”, lamentano gli operatori che stimano un calo del reddito del 41% nel 2007 e del 51% nel 2008. Nonostante una sostanziale tenuta dei consumi, talvolta accompagnata persino da un andamento crescente del venduto, ”il mercato – afferma il presidente del Consorzio Alai – sta vivendo uno dei momenti più difficili, portando al limite la tenuta di un comparto troppo parcellizzato, con 429 caseifici che mediamente trasformano 40 mila quintali di latte. Ciononostante, si tratta di un grande prodotto, che rappresenta il 28% della produzione casearia Made in Italy e che per il 22% viene venduto all’estero. Il restante 78% però risente di prezzi ampiamente al di sotto dei costi di produzione. Per questo – ha detto Alai – è doveroso chiedere sostegni per fronteggiare il rischio chiusura di molti allevamenti, che peraltro danneggerebbe anche i consumatori per i prevedibili rialzi dei listino”.
Il Consorzio di Tutela del Parmigiano ha inoltre chiesto il via libera al ritiro dal mercato di 100-150 mila forme. ”Si sta ipotecando la possibilità di continuare a produrre – ha detto l’assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Tiberio Rabboni – un formaggio-vessillo del Made in Italy nel mondo”. La Regione Emilia Romagna sta attivando per il settore nuovi finanziamenti pubblici, anche con misure del Psr (Piano sviluppo regionale), ma questi passi, ha precisato Rabboni, si sviluppano in un arco temporale ”non breve”. Ecco perché, ha detto l’assessore regionale, ”servono misure di natura straordinaria, tra cui la dichiarazione dello stato di crisi; la possibilità di ritirare dal mercato parte del prodotto, con la previsione del prodotto ‘parmigiano’ nei bandi Agea da cui risulta escluso dal 2002; un passo del Mipaaf presso l’Antitrust affinchè il Consorzio possa essere autorizzato a regolare la produzione per un triennio; l’inserimento del parmigiano nella disciplina del sottocosto e nel tavolo di confronto tra Mipaaf e Gdo; un cofinanziamento pubblico per le campagne promozionali all’estero”. Le proposte di Rabboni hanno trovato il consenso di Confagricoltura e Copagri regionali. Mentre la Cia ha chiesto un euro in più sui listini per coprire i costi di produzione ”quale piccolo calcio alla palla”. Con la Coldiretti che dice ”sì al tavolo di confronto con la Gdo, ma con armi serie in mano: la distintività e il legame del territorio di un prodotto Ogm-free, perché non va abbassata la qualità”.
Il Parmigiano-Reggiano è un noto formaggio italiano a pasta dura tutelato dalla Denominazione d’Origine Protetta. Rientra nella tipologia del formaggio Grana, di cui è considerato il più rappresentativo. Nacque, secondo la leggenda, durante il Medioevo a Barco di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, ma sotto la Diocesi di Parma (e questo ne spiega il nome).
Testimonianze storiche (ad esempio il Boccaccio nel Decamerone) dimostrano che già nel 1200-1300 il parmigiano-reggiano aveva raggiunto la tipizzazione odierna, il che spinge a supporre che le sue origini risalgano a diversi secoli prima. Non è escluso che la ricetta sia analoga a quella di un formaggio lodigiano a pasta dura che talvolta troviamo citato di sfuggita nelle fonti romane. Storicamente la culla del Parmigiano fu nel XII secolo, accanto ai grandi monasteri e possenti castelli in cui comparvero i primi caselli: piccoli edifici a pianta quadrata o poligonale dove avveniva la lavorazione del latte. I principali monasteri presenti tra Parma e Reggio erano quattro: due benedettini (San Giovanni a Parma e San Prospero a Reggio) e due cistercensi (San Martino di Valserena e Fontevivo, entrambi nel parmense).
Per avere dei prati con buone produzioni da destinare all’allevamento di bestiame di grossa taglia sia quale forza motrice, sia quale fonte di fertilizzante, era necessario avere terreni con abbondanza d’acqua e non è un caso che le maggiori praterie si formassero là dove c’era abbondanza di acqua sorgiva: a Parma nell’area a nord della città ed in quella di Fontanellato-Fontevivo; mentre a Reggio il territorio più ricco d’acqua era tra Montecchio e Campegine (quest’ultima zona era allora soggetta a Parma). Nel parmense poi, grazie alle saline di Salsomaggiore, era presente, a differenza di altre città, il sale necessario per la trasformazione casearia.
Il Parmigiano-Reggiano si è rapidamente diffuso nell’attuale comprensorio situato a sud del Po, nelle province di Parma, Reggio Emilia e Modena, toccando anche parte delle province di Bologna e Mantova. Attualmente gran parte della produzione del Parmigiano-Reggiano avviene con latte prodotto da vacche Frisone, introdotte nel territorio nel corso del ‘900, ma la razza tradizionalmente sfruttata per la produzione del formaggio è la Reggiana rossa, a triplice attitudine (latte, lavoro e carne), introdotta probabilmente dai Longobardi.
Purtroppo la sua produzione di latte è poco più della metà di quello della Frisona, sebbene di qualità assai superiore, e questo ne spiega l’abbandono, unito anche al fatto che la sua forza e l’attitudine al lavoro sono divenute inutili con l’avvento dei trattori. Alcuni piccoli caseifici ne usano ancora il latte per produrre un formaggio di qualità superiore. Per produrre un kg di Parmigiano reggiano servono circa 16 litri di latte.

Elena Mancuso