IL PRODOTTO
In Sicilia piccole aziende, ma produzione in aumento: sei le Dop, otto le varietà più coltivate. E l’olio conquista nuove fette di mercato per la sua qualità
Oro d’oliva
Ottobre tempo d’olive ma soprattutto di olio. Risorse importanti per la Sicilia, tanto da aver scalato fino al terzo posto la classifica delle regioni con il maggior numero di terreni destinati a questa coltura. Circa 20 milioni di piante popolano 157 mila ettari che rappresentano il 13,85% del patrimonio olivicolo nazionale.
Grandi terreni per piccole realtà, però, con i dati che registrano la presenza in larga parte di piccole aziende mediamente di circa 5 ettari ciascuna, che compongono il mosaico dell’olio siciliano.
Tante le varietà che crescono in Sicilia, impossibile classificarle tutte con sei Dop che si dividono buona parte del territorio regionale: Monti Iblei, Valli Trapanesi, Val di Mazara, Monte Etna, Valle del Belìce e Valdemone.
Le varietà più coltivate oggi sono invece otto: Biancolilla, Cerasuola, Moresca, Nocellara del Belice, Nocellara Etnea, Oglialora Messinese, Santagatese e Tonda Iblea, circa l’80% della produzione totale. Difficile identificare caratteristiche comuni a tutte, visto che cambiano a seconda della tipologia e della zona di produzione. Una sola nota sembra però metterle tutte d’accordo, l’erba tagliata, che genera una piacevole sensazione di freschezza.
Così, se l’olio toscano è troppo amaro e quello ligure troppo aggressivo, il mercato si rivolge alla Sicilia, il cui prodotto sta scalando sempre più la vetta della qualità e sta progressivamente conquistando il mercato. “Il consumatore si è stancato degli oli delle altre regioni, vuole un prodotto diverso, più fresco e particolare spiega Silvia Di Vincenzo, dell’azienda agricola Mandranova di Palma di Montechiaro. Le note di foglia di pomodoro e di erba fresca prendono notevolmente le distanza dagli altri oli più mandorlati come quello toscano”.
Salvatore Martorana direttore della Dop Val di Mazara e consigliere dell’Apo (Associazione produttori olivicoli) aggiunge: “Il nostro olio è richiestissimo dagli intenditori, soprattutto all’estero. Sarebbe utile però far sì che il consumatore medio capisse quanto è importante utilizzare olio di qualità, molti acquistano questo prodotto a basso prezzo. Un olio buono fa la differenza a tavola e fa bene al nostro organismo, a tal fine, nell’ultimo periodo stiamo effettuando una campagna pubblicitaria specifica sull’argomento”.
La maggiore piovosità di quest’anno nella Sicilia orientale piuttosto che in quella occidentale ha avuto ripercussioni diverse a seconda della cultivar e a seconda della zona di produzione. “Complessivamente il risultato è superiore alla media, ma di certo non avrà grossi picchi qualitativi, dati i problemi di siccità che hanno interessato larga parte della Sicilia – commenta Dino Catagnano, dirigente responsabile per la Filiera olivicola dell’assessorato regionale Agricoltura -. Buone risultano invece le quantità e la resa in olio. Dai campioni degustati comunque risulta finora una qualità medio-alta del prodotto, che è utile verificare quando verranno raccolte anche le ultime olive”.
Reazione “fredda”, poi, della Sicilia alla scuola di pensiero che prevede l’eliminazione del nocciolo prima della lavorazione delle olive. La novità non attecchisce nella nostra regione. La maggior parte dei produttori non solo non predilige questa strada nella molitura delle olive ma ne denuncia la scelta che, a loro dire, ne modifica le proprietà rovinando il prodotto finale.
Il nocciolo infatti, rappresenta un prezioso elemento durante lavorazione perché contiene al suo interno del liquido che risulta fondamentale per un olio di qualità.
La seconda ragione è dettata dalle proprietà che questo elemento conferirebbe all’olio, una leggera nota amara ed un tocco di legno che sembra aggiustare il sapore dell’olio. “Credo che quella di eliminare il nocciolo sia solo una trovata di marketing delle aziende, che in tal modo risultano agli occhi del consumatore non informato più rispettose del prodotto – dice Sebastiano Giaquinta, dell’azienda agricola Cinquecolli di Chiaramonte Gulfi, nel Ragusano -. Invece è esattamente il contrario. Non ha senso rovinare il frutto aprendolo, rischiando così di farlo annerire. Inoltre, questa procedura rallenterebbe il ciclo di produzione delle olive che vanno molite intere il giorno stesso della raccolta per evitare che le loro proprietà possano alterarsi. La pasta che ne scaturisce, è l’unione di olive e di noccioli”.
Dello stesso parere Silvia Di Vincenzo: “Vi sono delle cultivar che potrebbero risultare gravemente danneggiate dall’eliminazione del nocciolo. La Biancolilla, ad esempio, deve conservare un’amarezza tipica varietale che non riesce a raggiungere senza il prezioso cuore. Eliminare in nocciolo danneggerebbe il nostro prodotto”.
Laura Di Trapani