LA RICERCA
Mannella, Corinto Nero, Galatea. Alcuni dei vitigni isolani che rischiano di sparire ma che conservano storie e sapori unici. Una mappa delle varietà più rare
Quei “piccoli” siciliani…
Nel panorama della sempre più convincente enologia siciliana vi sono, indubbiamente, alcuni vitigni che fanno la parte del leone: Nero d’Avola, Nerello e Frappato fra i rossi, Grillo, Catarratto e Inzolia fra i bianchi. Ma il patrimonio ampelografico isolano è ricchissimo di altre varietà autoctone, alcune purtroppo in via di estinzione, delle quali ci piace raccontarvi qualcosa.
Abbastanza noto, ad esempio, è il Perricone (denominato anche Pignatello nel Trapanese), vitigno a bacca rossa la cui presenza in Sicilia è sparsa un po’ a macchia di leopardo e che si sta riscoprendo in questo periodo anche grazie alla sua capacità di donare vini semplici, vinosi e molto fruttati e di essere ben usato come complemento di altre uve in alcune Doc, specie Contea di Sclafani (lo troviamo nel famoso Rosso del Conte di Tasca d’Almerita), Eloro e Delia Nivolelli.
E chi sa qualcosa della varietà bianca detta Minnella? Al siciliano autentico non può sfuggire la similitudine tra il nome e la parte muliebre che ricordano i suoi acini…Oggi la sua coltivazione è circoscritta alla zona etnea ; Benanti ne fa poche preziose bottiglie di un vino dal bell’equilibrio organolettico.
Il Corinto Nero ha già nel nome la sua origine, tanto che anche oggi è diffusissimo in Grecia e Turchia. È varietà raccomandata nel Messinese e se ne trova traccia anche a Lipari, ove rientra nell’uvaggio della Malvasia delle Lipari di Florio e Hauner. Suggestivo uno dei suoi sinonimi, Uva Marina Nera, che dice tutto sulla mediterraneità del vitigno.
Sempre nella provincia di Messina, rigorosamente coltivata ad alberello, è presente la Nocera, varietà a bacca rossa dalle incerte origini (alcuni studiosi la vogliono di provenienza calabrese, altri addirittura francese con parentele in Beaujolais…). Entra nel disciplinare della Doc Faro (Palari lo usa per il suo Rosso del Soprano) conferendo colore e nerbo acido al vino.
Più noto, sicuramente, è il Damaschino, un tempo assai diffuso ma oggi ristretto in presenza all’agro marsalese, vitigno bianco che offre vini di corpo e struttura non sostenuti ma piacevoli; è tuttora parte del disciplinare della Doc Marsala e, in purezza, della Doc Delia Nivolelli (ne produce Donnafugata). Ma ci sono anche i piccolissimi, quelli purtroppo, in alcuni casi, in via d’estinzione.
Il Catanese Nero, ora presente soprattutto nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento, che si impiega, non rientrando in alcun disciplinare Doc, per dignitosi vini da pasto rosati; l’Acitana Nera, che sembra prendere il nome dai comuni di Aci Trezza e Acireale, ma che ora si alloca in piccole quantità coltivate nella Doc Faro; la Ciminnita, che prende il nome dal piccolo comune palermitano di Ciminna, ed è una strana varietà bianca che si presta ad essere sia uva da mensa sia uva da vinificazione; la Galatena, varietà a bacca rossa rarissima e ormai in via di scomparsa ma pur presente in pochi ceppi isolati allevati ad alberello nella zona di Faro; la Jacchè, uva rossa ricca di sostanze coloranti e di base tannica, forse derivante da una varietà di vite americana denominata Jacquez.
Un patrimonio di tipicità del quale i produttori siciliani più illuminati si stanno prendendo cura, consci che la sua conservazione sia un dovere per le generazioni passate, presenti e future e per far valere l’originalità di una viticoltura dai caratteri unici.
Daniele Meledandri