LA CURIOSITA’
Luca Gargano, direttore di Velier ha avviato una piccola produzione nel Paese ancora legato alla pratica delle anfore. Ed ecco le sue creature
L’italiano del vino in Georgia
Divide gli estimatori del vino in due schieramenti, c’è chi lo ama e chi invece storce il naso solo a sentirne parlare, eppure il vino in anfora è all’origine di tutto. Pratica che ha ben 8.000 anni di storia e che, se è quasi scomparsa nel mondo colonizzato dalla vite, rimane invece viva in Georgia.
Nella terra che conta più di 520 vitigni autoctoni e da dove si pensa provenga la vitis vinifera, la madre primordiale di tutte le viti, si continua a consumare quasi esclusivamente vino in anfora. Qui i produttori non hanno la cantina ma il marani, la zona che accoglie le anfore interrate, straordinari manufatti artigianali in terracotta deputati al contenimento dei grappoli d’uva appena raccolti, integri di raspo e bucce. Prima ancora di essere simbolo della cristianità questo vino nella terra della Colchide è soprattutto simbolo del convito. Quest’ultimo è la forma di socialità che caratterizza la cultura georgiana e che ruota attorno alla figura del Tamadà: il pater famiglia, colui che inneggia al vino.
Un momento della degustazione
Mai come in nessun altra terra questa bevanda ha acquistato così forti connotazioni identitarie, dimostrato anche dai ritrovamenti archeologici, i più antichi riguardanti il vino, e dal fiorente commercio cui diedero vita i Fenici che nominarono questo angolo di terra tra il Mar Nero ed il Mar Caspio appunto “Terra del vino”. Chi è rimasto totalmente affascinato da questo archetipo del vino tanto da averne avviato una piccola produzione proprio nel Paese, è Luca Gargano, direttore di Velier. Ed è stato lui che all’edizione del Salone del Gusto 2010 ha fatto conoscere alla platea degli enofili di tutto il mondo le singolari caratteristiche del vino georgiano. Una degustazione condotta attorno alle due più grandi regioni vitivinicole del Paese, quella occidentale del Khakheti e quella nord orientale dell’Imereti. Insieme ai vini, a Torino, anche alcuni produttori, tra questi il filologo Soliko Tsaishvili. Sul banco d’assaggio è stata presentata una carrellata di 8 vini, dal 2007 al 2009, quasi tutti introvabili in Italia.
I bicchieri della degustazione
Si è partititi da un blend di Tsitska e Tsolikouri, uve bianche dall’Imereti caratterizzate da note dolci, floreali ed esotiche. È seguito poi un altro bianco: il Chardachy 2007 proveniente dal cuore della Georgia, vino biologico singolare per il colore ramato intenso che ha ingannato il palato degli assaggiatori mostrando una freschezza vivace. Il terzo vino, il Hakhuri Mitsvane del 2008. Unico vino della serie non prodotto in anfora dalla personalità spiccatamente fruttata. A metà degustazione ci si è soffermati al vino firmato da Gargano chiamato Clos de Armandiers, dal delicato profumo del pane. Vino supernaturale, il quinto vino. Un gran cru Tsarapi: il Rkatziteli 2007 di Prince Makasvil. La varietà più rappresentativa ed antica della Georgia. Del Rkatziteli si è poi degustata anche l’annata 2009 di Alvani, un bianco dove il fruttato e lo speziato si armonizzano alla freschezza. A chiudere la sessione dei vini in anfora due rossi. Il Tskhanuri Sapere del 2009 ed un Saperavi del 2008. Il primo un varietale rarissimo della zona occidentale, tipico per il sapore fruttato. Orientale invece la bacca del Saperavi. Un vino difficile da standardizzare, sempre in evoluzione nel gusto. Vini in anfora ciascuno con una propria personalità, ma tutti preziosissimi esemplari di vini biologici, naturali biodinamici, dove trattamenti ed interventi enologici non trovano spazio. Tutti legati da un’acidità sorprendentemente armonica, tutte etichette di territori. Tant’è che in Georgia i vitigni prendono appunto il nome dei territori e dei comuni di provenienza.
Manuela Laiacona