VERDE A TAVOLA
Le corone che decoravano i poeti nelle agorà e premiavano i vincitori delle Olimpiadi ad Atene, poi gli infusi e le leggende
Alloro,
profumo ellenico…
I bouquet non sono solo di fiori ma anche di erbe. E nel famoso “bouquet garni”, che riassume gli impieghi delle erbe nella cucina francese, l’alloro ha una posizione dominante. Leclerc sosteneva che l’alloro comunica un profumo di ellenimo e latinità, dunque va ampiamente utilizzato per condire le pietanze, nelle salse, per conservare i cibi in salamoia.
Ben lo sanno le nostre massaie che non rinunciano all’alloro per aromatizzare soprattutto le patate al forno, spolverate da frantumi di foglie secche. Carni, pesci, insalate. È sterminato l’impiego dell’alloro. E perfino il malato può dire grazie all’alloro visto che anche nei casi di maggiore debilitazione fisica può mangiare un buon petto di pollo lessato con cipolla e foglie d’alloro.
Ma non è solo in cucina che l’alloro dà il meglio di sé. Le sue virtù antisettiche e digestive erano note fin dall’antichità. I medici greci ne facevano largo uso, tanto di bacche quanto di foglie. Nel Rinascimento l’alloro era considerato da Thibault Lespleigney un rimedio contro molti mali, al punto da affermare che “in quest’albero virtù abbondano. Così come alberi in questo mondo”.
Solo per restare nell’ambito dei rimedi casalinghi, l’alloro è il principe contro il mal di stomaco: il “canarino”, un decotto di foglie d’alloro secche e una punta di limone, rimette a posto tutto. Se al posto del limone si aggiunge la scorza d’arancio si ha un effetto espettorante. L’olio di alloro, invece, sarebbe benefico contro i reumatismi.
Tipico delle regioni mediterranee, l’alloro (Laurus nobilis) ha un’origine che si perde nella leggenda. La vergine Dafne, inseguita da Apollo, si trasformò in alloro per non concedersi al dio che bramava di conquistarla. Nelle agorà i poeti venivano incoronati d’alloro, così come gli atleti vincitori alle Olimpiadi. Un albero di eccezionali dimensioni vegetava nel centro storico di Palermo, nel cortile del palazzo San Gabriele. Era così grande che alla fine diede il nome alla strada Quattrocentesca. E quando morì, tutti i diaristi ne diedero notizia. Come se fosse stato un uomo illustre. Il particolare non sfuggì a Sciascia, il quale scrisse: “Tanta precisione nella data di estinzione di un albero dà alla fantasia. È possibile stabilire la data precisa in cui per vecchiaia un albero muore? Come se si stesse a spiarne la morte, giorno dopo giorno e finalmente, caduta e ingiallita l’ultima foglia, ecco la certificazione di morte da tramandare ai posteri. Resta forse unico il fatto che della morte di un albero sia stata tramandata la data precisa come quella della morte di un uomo”.
Mario Pintagro