I marchi italiani mancano del tutto all’appello, ma investire sulle società del vino in Borsa conviene, anche se negli ultimi mesi il trend ha leggermente frenato. Lo afferma un’indagine dell’ufficio studi di Mediobanca, secondo la quale dal gennaio 2001 ai primi del mese l’indice internazionale di Borsa del settore vinicolo è cresciuto del 122%, contro un aumento del 14% dei mercati azionari mondiali.
Il paniere dei titoli che compongono l’indice è composto per il 35% circa da società australiane e per poco meno del 30% da quelle cinesi, che hanno margini di redditività impressionanti. Seguono i gruppi nordamericani al 13%, il Cile al 7%, la Francia al 5% e la Spagna al 2%. Questo il volume di capitalizzazione, ma per fare affari d’oro si sarebbe dovuto investire solo in due direzioni: Stati Uniti, dove i titoli del vino hanno fatto meglio della Borsa di riferimento del 60%, e soprattutto in Francia, con i gruppi del vino più remunerativi rispetto ai listini azionari generali di Parigi del 172%. I guadagni, anche grazie a risultati industriali sempre notevoli con una media del margine operativo del 18,5% sul fatturato, sono netti rispetto a inizio secolo, mentre negli ultimi dodici mesi in quasi tutte le aree geografiche i titoli del comparto hanno frenato la loro convenienza, facendo peggio delle Borse di riferimento in Spagna, Usa, Francia e Cina, mentre guadagnano qualcosa solo in Cile e Australia. Una frenata causata anche dalla struttura finanziaria debole: a livello internazionale i gruppi del vino, spesso attivi anche nella produzione di birra e distillati, sono gravati sia da una crescita per acquisizione eccessiva sia da una posizione finanziaria difficile: nel 2009 il rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri è del 108% medio, dopo il boom insostenibile del 120% dell’anno precedente.