Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 155 del 04/03/2010

LA TELEFONATA DEL SABATO De Grazia scommette su vitigni sconosciuti

27 Febbraio 2010
marcdegrazia marcdegrazia

LA TELEFONATA DEL SABATO

Il produttore toscano ormai etneo d’adozione racconta i suoi progetti e parla di crisi e di territorio. E poi quelle varietà…

De Grazia
scommette
su vitigni
sconosciuti

Marco de Grazia è in partenza per Firenze e con lui scambiamo qualche chiacchiera sull’Etna. Il territorio, i vini, la crisi, la sua Tenuta delle Terre Nere a Randazzo, i mercati che lui conosce bene con la Marc de Grazia selection, società di distribuzione di tante etichette pregiate italiane nel mondo. E’ in partenza ma martedì sarà a Palermo al forum sul vino organizzato da Cronache di Gusto. Ce lo ha assicurato.

Come sta il vino dell’Etna?
«L’Etna non esiste come vino in sè. Non è come un Chianti classico o un Barolo. È una creatura in costruzione».

La crisi tocca anche questa zona della Sicilia?
«La crisi tocca tutti ma con alcune differenze. Per esempio sull’Etna ci sono tanti piccoli che non hanno impianti commerciali e poi ci sono aziende ben salde dal punto vista commerciale. Si soffre in maniera diversa. Certo, chi ha una storia e un brand affermato sente meno gli effetti della crisi. Prendi Benanti o Franchetti, credo soffrano meno».

È vero che all’estero la situazione è peggiore?
«Sì, nel senso che le vendite del vino stanno subendo conseguenze peggiori. In Italia da questo punto di vista si sta meglio. Ma c’è un altro risvolto negativo».

Quale?
«Che con la crisi chi ha strutture comemrciali solide, di marketing e di pr e magari produce vini mediocri riesce a superare in termini di vendite chi fa vini migliori ma non ha strutture di comunicazione consolidate».

Tu stai superando la tempesta?
«Avverto gli scossoni ma senza vacillare. Metti i miei vini più cari. Due anni fa schizzavano dagli scaffali, ora la gente riflette di più. Ma grazie a Dio non ho problemi particolari. Il vino si vende».

La cosa che più ti ha impressionato negli ultimi giorni?
«Assaggiare i vini dell’annata 2009. Annata complicata sull’Etna, la più difficile da quando sono in Sicilia. Noi eravamo preparati e organizzati ma di fronte alla natura e al tempo non hai molto da fare. Ecco, malgrado tutto ciò, mi ha dato un sollievo enorme trovare vini splendidi. Vuol dire che l’Etna ha un potenziale straordinario. Se la vigna è gestita bene, se tutto lo fai con amore, il territorio ti ripaga. È una cosa rara. E per me, una sorpresa straordinaria».

Progetti?
«Sto piantando vitigni antichi, quasi scomparsi. Una varietà bianca che si chiama Giustolisi, il Nerello Bianco, che è un ossimoro ma esiste, il Mondonico Bianco, tutti  coltivati nella zona sud dell’Etna, a Biancavilla. Ho trovato anche del Nerello Mantellato che è completamente diverso dal Nerello Cappuccio. Eppure per i testi sacri dell’enologia si tratterebbe della stessa cosa».

Ti diverti?
«Ammetto di sì. Ma è anche una sofferenza perché devo aspettare anni per vedere i risultati. Mi spiace che non ci sia un’università o una Provincia che non si spende per il vino dell’Etna. Un territorio che ha prodotto risultati elevatissimi in tempi ridottissimi partendo da zero senza una memoria storica, se non quella dei contadini, il loro racconto orale. Di scritto non c’è nulla. Sestini? È vero, ma è troppo poco».

F. C.