VIVERE DIVINO
Il presidente di Assovini annuncia di lasciare l'incarico. “L’impresa più difficile? Far marciare insieme 70 siciliani”. Nessun cenno al suo successore, ma qualcuno sussurra già dei nomi. Ecco quali…
Tasca: «Ecco
la mia eredità»
di Marco Volpe
Sei anni da presidente dell’Assovini, sei anni in cui è riuscito a mettere insieme settanta siciliani (questa l’impresa più difficile, dice) e per giunta a farli guardare tutti nella stessa direzione.
Adesso Lucio Tasca d’Almerita, volto e nome noto dell’enologia siciliana in tutto il mondo, ha deciso di lasciare la “sua creatura” e dedicarsi ad altro. Sempre con lo sguardo rivolto alla Sicilia. Lo ha annunciato chiudendo Sicilia en primeur, il 9 marzo a Marsala. Traccia l’identikit del suo successore: giovane e con una chiara idea imprenditoriale, ma non fa nomi. Anche se le voci che si rincorrono nell’ambiente stringono il cerchio su tre ipotesi: Alessio Planeta, Josè Rallo, Giuseppe Benanti.
Le va di fare un bilancio dei sei anni a capo di Assovini?
“Sei anni da presidente hanno portato gli iniziali 25 soci agli attuali settanta, con l’85 per cento dell’imbottigliato siciliano. Una casa comune nella quale rientrano tutte le grandi dell’Isola, mancano solo Corvo e Pellegrino”.
Verso quale direzione si è mossa l’associazione?
“Un’opera meritoria va sicuramente riconosciuta a Sicilia en primeur, che ha portato una rassegna stampa pazzesca. Voluminosa ed estesa a tutti i Paesi del mondo. Una risposta degli organi di stampa che sicuramente apre ai nostri produttori le strade dei mercati mondiali”.
Cosa manca al vino siciliano?
“Marketing. Ci sono tante aziende che non fanno marketing. Magari lavorano benissimo, hanno grandissime potenzialità ma non sanno comunicarlo e così nessuno conoscerà mai il frutto dei loro sforzi”.
Perché ha deciso di lasciare Assovini?
“Trovo che bisogna lasciare largo ai giovani. Se si rimane troppo non si vedono più i propri difetti. Anche se andar via evidentemente mi dispiace”.
Un difetto e un pregio della sua “gestione”.
“Sono contento dei risultati ottenuti. Perché riunire dei siciliani e farli marciare insieme, in un club, è un’impresa. Siamo molto poco individualisti, poco umili, un po’ presuntuosi. In questi anni siamo anche diventati interlocutori privilegiati della Regione e dell’Istituto della Vite e del Vino, dove inizialmente c’erano stati attriti. Un errore? Il più recente è stato nell’ultimo Sicilia en primeur, un’edizione di grande qualità: il pranzo di gala non seduti. Molti ospiti sono rimasti delusi, ma in compenso il giorno delle relazioni la sala era gremita tutti a sentire Scienza, Fabris e Cotarella”.
Ora cosa fa. Pensione?
“Non ci penso neppure. Farò altro ma non nel mondo del vino. Non dico niente, solo che è un grandissimo progetto che guarda alla Sicilia”.
Parliamo del suo successore. L’ha già scelto?
“Serve un nome conosciuto in tutto il mondo, che parli le lingue e abbia un’alta idea del vino e che capacità imprenditoriali, oltre che la voglia di occuparsi di questa creatura. Magari qualcuno della zona orientale della Sicilia, per attirare l’interesse dei produttori di quell’area dell’Isola. E comunque non sarò io a sceglierlo”.
Nomi?
“Non credo sia giusto farne”.
E il vino siciliano? È ancora di moda?
“Ormai le aziende imbottigliatrici sono 620. Un dato importante. Negli anni ’60 erano un paio. La spinta propulsiva è stata enorme. Qui ha giocato un ruolo importante anche Assovini”.
Quali vini preferisce?
“I francesi sono super, gli italiani li hanno ormai raggiunti. Mi piace il vino buono e basta”.