IL BILANCIO/3
Il vignaiolo valdostano: “Un posto unico al mondo. Ho trovato un’area vocata dal potenziale formidabile”
L’Etna conquista
Charrére
L’Etna conquista Costantino Charrère, direttore della società agricola Les Crêtes e presidente del Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti). In Sicilia per partecipare al terzo Congresso internazionale della viticoltura di montagna e in forte pendenza, promossa dal Cervim, Charrère sul vulcano ha trovato l’avamposto più estremo della viticoltura di montagna.
E nei luoghi impervi ci vive e lavora, se si considerano i 18 ettari di vigne che coltiva nell’asse orografico della dora Baltea. L’Etna per il produttore valdostano è un luogo unico al mondo, territorio dal grande potere immaginifico, ma ancora non comunicato nel modo adeguato. “Sono rimasto sbalordito dall’Etna. Quando, durante le escursioni previste dal congresso siamo andati a visitare una cantina ho visto che accanto alle vigne vi era una spaccatura nel terreno dove si potevano vedere tre tipi di eruzioni. Ho percepito il potenziale formidabile che ha il vulcano come area vocata. Questo è il territorio veramente estremo, e pensare che la pianta della vite trae da questo substrato l’essenza del territorio”. E nel Nerello Mascalese il produttore ne ha individuate le peculiarità. “Se dobbiamo descrivere il territorio con un vino, per me è il Nerello Mascalese che esprime tutte le caratteristiche del suolo del vulcano. E’ il vitigno del vulcano. Lo si sente nella mineralità, nei profumi e nella struttura, nella setosità. Infatti il vino che preferisco è il vino del territorio”. Nel vino si concentrerebbe tutto il potere immaginifico del vulcano, spiega Charrere: “Il territorio evoca un’immagine forte, al cui interno c’è cultura del luogo. Ma non è sufficientemente spiegato questo contesto al consumatore che altrimenti non ha modo di percepire il valore di questo tipo di viticoltura”.
Comunicazione indispensabile per portare il consumatore in questi luoghi, uno dei modi secondo Charrère, per differenziarsi nell’era della globalizzazione, che porta a scontrarsi con la concorrenza del basso prezzo che penalizzerebbero le viticolture eroiche. “Per fortuna esiste il consumatore attento che cerca questo tipo di qualità. Infatti devo dire che nonostante la crisi la viticoltura di montagna sta vivendo un trend incoraggiante. Non abbiamo subito il crollo di richieste. I nostri sono prodotti per cui si è disposti a spendere un po’ di più. Anche se non basta il fare. Il viticultore deve anche comunicare in modo semplice. Ci sarebbero buoni margini per il futuro ma certo al di fuori delle disneyland del vino o dello shopping, ma attraverso un coinvolgimento più mirato, un consumo consapevole verso le persone interessate, attraverso il turismo. È questo su cui stiamo lavorando come federazione ”, spiega Charrère. Una realtà che raccoglie 65 eccellenze vitivinicole, è diventata infatti un soggetto che ha rappresentanza al parlamento europeo. “Stiamo portando all’attenzione della politica il ruolo imprenditoriale del vignaiolo. E stiamo dimostrando che fare sistema è fondamentale per produrre buon vino. Come federazione coordiniamo tutte le fasi di produzione, dalla gestione del vigneto all’imbottigliamento. E fare sistema significa essere ambasciatori di un territorio. Per questo chiediamo riconoscimento e soprattutto che il polo decisionale ritorni nel mediterraneo, da cui era partito”. Anche se è difficile, la viticoltura estrema piacerebbe ai giovani. “Sono tantissime le richieste di stage presso i nostri vignaioli da parte degli studenti d’Europa e del mondo. Questo significa un ritorno all’origine. I giovani stanno andando controtendenza e contro la globalizzazione”, e per avvicinare al vino ed ai valori del territorio anche i giovani consumatori, la Fivi ha in programma una battaglia contro la demonizzazione dell’alcol e l’uso dell’etilometro: “Non è un sistema attendibile, e sta allontanando i giovani da quello che potrebbe essere un consumo attento e sano del vino, che viene messo alla stessa stregua di superalcolici e di altre bevande industriali con cui si fanno i cocktail, come la redbull. Il problema non è l’acol, le politiche ministeriali dovrebbero capire che il disagio giovanile sta altrove. Noi vignaioli indipendenti scenderemo in prima linea contro questo cattivo uso della comunicazione”.
Manuela Laiacona