IL DIBATTITO
Quinto incontro organizzato dall’Università di Palermo con Slow food. Viaggio fra le razze bovine e le tradizioni, con una precisa regola: il latte deve essere crudo
Naturalmente formaggio
Il quinto incontro organizzato dal corso di laurea in Dietistica dell’Università di Palermo in collaborazione col Convivium Slow Food di Palermo e con l’associazione Nutrizione e Salute ha avuto per tema il formaggio, un argomento che inevitabilmente chiama in causa anche il latte.
Il formaggio non è solo un alimento, ma è storia, tradizione, è l’immagine di un territorio che cela al suo interno gli odori, i sapori e i colori del contesto in cui viene prodotto. L’alimentazione della vacca influenza la qualità bromatologica del prodotto e nello specifico, il pascolo biologico fa si che il prodotto acquisisca una singolare naturalezza in grande sintonia con i processi fisiologici dell’animale. “Di contro – ha sottolineato Nino Aiello di Slow Food – vi sono formaggi industriali, perfetti dal punto di vista della sicurezza alimentare…”, ma “…senza identità e senza facies, come la provoletta o le sottilette, formaggi in cui non si legge né un territorio né un casaro…”.
Grazia Invidiata ha messo su un’azienda agricola zootecnica dalle parti di Collesano, dove produce dal 2003 formaggi biologici a latte crudo. Ha raccontato la propria esperienza ad un pubblico incuriosito, incluse le difficoltà che giornalmente si affrontano per rimanere competitivi a causa di norme e disposizioni che certamente non agevolano lo sviluppo di iniziative come la sua. Prima su tutte vi è l’obbligo al rispetto delle famose “Quote latte” introdotte dalla Cee che gravano notevolmente sull’economia delle aziende, limitano la nascita di aziende zootecniche e la diffusione di prodotti biologici, e che in definitiva agevolano le produzioni industriali. “La speranza – afferma – è che la gente prima o poi capisca cosa significhi nutrirsi con un prodotto di elevata qualità biologica”. Naturalmente, un importante fattore che influenza il prodotto caseario è la razza bovina: si va dalla Frisona che produce una notevole quantità di latte più frequentemente destinato all’imbottigliamento, alla vacca Podolica (tipica razza della Basilicata) che produce pochissimo e pregiatissimo latte riservato alla preparazione di particolari formaggi a lungo invecchiamento. Qui da noi le razze più frequentemente allevate per la produzione di formaggi sono la Cinisara, la Modicana ma anche la Bruna alpina che è molto produttiva. E per quanto concerne i prodotti caseari caprini, qual’è la realtà siciliana? Francesco Guccione, affinatore di formaggi, ricorda che il più autentico formaggio siciliano è da latte misto. La Sicilia risulta essere un ambiente idoneo, specie nei Nebrodi, all’allevamento caprino e vantiamo la presenza di capre autoctone purtroppo a rischio di estinzione, quali la Girgentana e la Messinese, ma attualmente, nonostante alcune recenti iniziative, “non vi è un interesse consolidato per quanto concerne l’allevamento caprino in Sicilia”. Certamente i formaggi italiani, ed in particolare quelli stagionati, costituiscono una “falange del gusto” che non ha nulla da invidiare alla tanto rinomata produzione francese, per lo più a base di latte caprino. Proseguendo, Giancarlo Lo Sicco ha ulteriormente ribadito come il territorio debba essere tutelato non solo dai produttori, ma anche dal consumatore che attraverso la scelta del prodotto dovrebbe incentivare e sostenere la produzione locale divenendo, così come ama definirlo Slow Food, un “consumattore”. Un prodotto biologico di qualità deve necessariamente essere ottenuto da latte crudo (cioè a temperature di 35-36 °C) secondo una tecnica di lavorazione che rifiuta il trattamento termico, questo è oltretutto un requisito fondamentale per ottenere il marchio DOP. In questo modo, è possibile mantenere le caratteristiche organolettiche ed il patrimonio nutrizionale proprio del latte appena munto.
“Lavorare con latte crudo – ha proseguito Grazia Invidiata- significa azienda sana, ufficialmente indenne da zoonosi (tra cui brucellosi e tubercolosi), poiché sottoposta a rigidi controlli da parte del servizio veterinario della AUSL”. Questo concetto è in antitesi con le strategie industriali che, sconoscendo la sicurezza del latte importato, devono necessariamente avvalersi della pastorizzazione e della sterilizzazione. E gli effetti sulla salute ? Il professor Maurizio Averna, ordinario di medicina interna presso la facoltà di Medicina di Palermo ed esperto lipidologo, ha prospettato una nuova ed interessante chiave di lettura. Negli ultimi 50-60 anni, il formaggio è stato demonizzato poiché associato ad un maggior rischio di malattie cardiovascolari mediato da grassi e colesterolo. Tuttavia, studi recenti dimostrerebbero che i grassi dei “buoni formaggi, quelli biologici per intenderci” non influenzerebbero le concentrazioni di Ldl nel sangue, cioè il cosiddetto colesterolo cattivo, tanto da consentire l’inserimento di latte e formaggi in giuste quantità nelle Linee Guida nutrizionali per i pazienti cardiopatici. Ma come si spiega questa contraddizione? Sembrerebbe che attraverso l’alimentazione da pascolo naturale, l’animale introduca acido ?-linoleico che con la ruminazione è convertito in acido vaccenico e quindi in acido linoleico coniugato (oramai comunemente indicato con la sigla Cla), un acido grasso che si è dimostrato in grado di contrastare la malattia aterosclerotica e di migliorare i grassi circolanti nel sangue. Si comprende pertanto come questa sia una prerogativa dei formaggi ottenuti da latte proveniente da allevamenti biologici e di cui non si è tenuto conto negli studi condotti in passato. Ma l’assunzione di giuste quantità di formaggi agisce favorevolmente in altre patologie quali alcune neoplasie, l’osteoporosi, l’ipertensione. “A tal proposito non bisogna comunque dimenticare – ha precisato il professor Salvatore Verga – che fosforo e sodio, certamente nocivi se assunti in eccessiva quantità, sono contenuti nei formaggi in quantità non indifferenti e pertanto occorre fare attenzione alle quantità ed alle eventuali patologie di cui si è affetti. D’altra parte, la lavorazione del latte influenza il contenuto dei grassi nel prodotto finito, e la produzione dei formaggi è talmente eterogenea che i contenuti in colesterolo, proteine, fosforo, calcio e grassi in genere variano significativamente da formaggio in formaggio”.
Sul piano concreto “è evidente – ha concluso Silvio Buscemi – come queste informazioni ci dicano quanto sia inappropriato indicare nelle diete genericamente il quantitativo di formaggi che è consentito assumere. Infatti, dal momento che si tratta di un cibo con una grande varietà di tipologie, anche sotto il profilo della produzione, con effetti sulla salute talvolta anche opposti, occorrerebbe essere più precisi ed indicare le tipologie e perché no, anche la tipologia di lavorazione e la provenienza”.
Rosy Rizzo (studentessa in Dietistica)
Maria Rosaria Tranchina (dietista, per “Nutrizione e Salute”)