VERDE A TAVOLA
In cucina è un prodotto essenziale e fa bene all’organismo: arma contro i tumori, antibiotico e antidiabetico. Ed ecco come evitare l’alito cattivo In aglio stat virtus |
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In cucina è un prodotto essenziale e fa bene all’organismo: arma contro i tumori, antibiotico e antidiabetico. Ed ecco come evitare l’alito cattivo
In aglio stat virtus
Non date conto a chi professa il culto dell’alito pulito ad ogni costo. L’aglio in cucina ha il suo ruolo e la sua dignità. La bruschetta senza la strofinatina d’aglio sarebbe la stessa cosa? E il pesto alla genovese privato dell’aglio avrebbe lo stesso aroma? E gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, piatto principe della cucina povera contadina e popolare si potrebbero mai fare senza aglio? E la pastasciutta al pomodoro?
Si porta appresso brutte nomee l’aglio. Tutta colpa dei suoi composti solforati che alterano l’alito, e diciamolo francamente, non aiutano la vita di comunità. Ma a tutto c’è un rimedio. Basta masticare a fine pasto due chicchi di caffè, oppure mangiare una mela macinata con un po’ di miele, o masticare del prezzemolo e l’effetto fiatata sgradevole diminuisce di colpo.
Più che a scacciare improbabili e romanzeschi vampiri, l’aglio dovrebbe assurgere al ruolo di piccola panacea. Le sue virtù sono infinite: è antibiotico, vermifugo, regola la flora intestinale e stimola molte altre funzioni organiche; è antidiabetico, frena l’ipertensione. Ultimo, ma non ultimo, è un’efficace arma preventiva contro i tumori dell’apparato digerente. Ne sanno qualcosa i popoli dell’Asia centrale, regione dalla quale proviene l’aglio e dove gli abitanti sono estremamente longevi e immuni dalle neoplasie. Guarda caso sono grandi consumatori di aglio.
Nella dieta degli schiavi egizi l’aglio non mancava mai. A giudicare dalle gigantesche costruzioni messe su si direbbe che fosse meglio di certi reintegratori energetici di oggi…
I greci lo chiamavano “rosa foetida”, alludendo al forte aroma del bulbo. Guai a mangiarne troppo, però: l’accesso al tempio di Cibele era vietato a chi ne abusava. Ma i campioni di Olimpia che non potevano abusare di fichi e noci (anche allora c’era il doping…) sapevano benissimo che masticare due spicchi d’aglio prima delle prove era ammesso e utile.
In Europa arrivò con le orde mongole e se ne ha notizia sin dal 50 a.C.. La sua fortuna fu rapidissima. Carlo Magno ne obbligò la produzione. Enrico IV fu battezzato, secondo la tradizione guascona, con uno spicchio d’aglio in bocca.
Nel medioevo e sino al ‘700 fu ritenuto anche un piccolo freno al dilagare della peste. Mischiato ad aceto e a molte altre erbe, pare che rendesse immuni dal flagello del contagio. O perlomeno così assicurarono quattro ladroni sorpresi a depredare i cadaveri degli appestati nella Tolosa del 1720.
Oggi le sue antiche virtù sono state ampiamente riconosciute dalla medicina moderna. L’unica controindicazione è per gli stomaci deboli.
Particolarmente famoso è l’aglio rosso di Nubia, coltivato nell’omonima contrada di Paceco (Trapani) e ad Erice, Marsala e Salemi. Da un esame della facoltà di agraria di Palermo è emerso che l’aglio rosso, presidio Slow Food, ha un’elevata quantità di allicina, superiore alla media delle altre varietà nazionali. È alla base del famoso pesto alla trapanese, a base di aglio pestato, basilico, mandorle, pomodoro, olio extravergine, sale e pepe.
Mario Pintagro